Aquila Non Vedente

Aquila e tutta la sua famiglia (compreso Bibùlo)

Quello che nessuno ha il coraggio di dire

Costas Varotsos, La verità è sempre un’altra, 1980

Anche perché pochi hanno voglia di sentirselo dire.

Perché dire la verità implica coraggio, soprattutto se si devono trovare soluzioni che costano, non solo in termini economici, ma soprattutto in termini sociali.

Cos’è che bisognerebbe dire e soprattutto fare?

Bisognerebbe dire che chi pensa che fra un mese, o sei mesi, un anno o due anni avremo sconfitto il Covid e quindi potremo tornare alla nostra vita normale come prima è un illuso.

Con il Covid ci avremo a che fare per anni.

Dovremo cambiare le nostre abitudini, le nostre città, le nostre scuole, il nostro modo di incontrare, vedere e parlare agli altri, i nostri ristoranti, i nostri concerti, i nostri cinema e teatri, ecc.

Dovremo abituarci a una sanità che deve utilizzare ingenti risorse umane ed economiche per vaccinare, tamponare, curare i malati di Covid.

Cambierà il nostro modo di lavorare, di andare in vacanza, di socializzare.

Il problema non è se chiudere alle 22 o alle 23; non è se andare a scuola al 60% o al 70%; non è Speranza o Salvini.

Dobbiamo (dovevamo) investire risorse nel cambiamento strutturale della nostra società.

Prendiamo la scuola. Avevo proposto (ingenuamente) nel mio Comune di rimettere in sesto le scuole frazionali, perché se serve spazio non ce lo possiamo inventare. Certo, questo vuol dire rivedere le modalità d’insegnamento, i trasporti, la vigilanza, ma questi strabenedetti soldi che arrivano dall’Europa cosa li utilizziamo a fare, se non per questi miglioramenti strutturali delle nostre città?

Non possiamo più avere i bar che nella superficie di una cabina telefonica ci fanno stare venti persone contemporaneamente: non si può più, altrimenti il cappuccio e la brioche continueremo a ingurgitarli sul marciapiedi.

Ho fatto degli esempi banali, ma la realtà è questa: ci sono un sacco di cose che non possiamo e non potremo più farle come prima.

A meno che non si scelga la strada verso la quale ci stiamo dirigendo: sopportare per i prossimi anni qualche centinaio di morti al giorno per Covid.

Ovviamente sperando che a morire siano gli altri.

22 aprile 2021 Posted by | Storie ordinarie | , | 5 commenti

Me ne frego!

Quindi si riapre dal 26 aprile.

A pezzi, ma si riapre.

I numeri lo consentono?

Me ne frego!

La sanità è ancora sotto pressione?

Me ne frego!

Le RSA sono ancora chiuse?

Me ne frego!

Muoiono gli anziani e i soggetti deboli?

Me ne frego!

L’importante è andare a mangiare la sera gli spaghetti allo scoglio o la fiorentina; andare in palestra o in piscina; allo stadio o a teatro.

Non è cambiata l’emergenza pandemica, sono cambiati i valori di riferimento.

E’ il “me ne frego” di vecchia memoria, perché gli italiani sono rimasti quelli del ventennio (per lo meno la maggioranza).

17 aprile 2021 Posted by | Sani principi, Storie ordinarie | , | 4 commenti

Dimmi quanto guadagni… e ti dirò se puoi protestare

In queste settimane vi sono state diverse proteste di alcune categorie contro le chiusure delle loro attività: ristoratori, commercianti, palestre, professionisti…

Il coro è unanime: fateci riaprire, oppure ristorateci di più, perché abbiamo perso il 20%, il 30%, il 50%, addirittura l’80% del fatturato.

Ora, io vorrei porre a queste persone una semplicissima domanda e, dopo, fare un’altrettanto semplicissima considerazione.

So che non avrò mai la possibilità di rivolgermi a loro, ma se anche l’avessi dubito che risponderebbero.

DOMANDA

Invece di parlare di percentuali di perdita, perché non proviamo a mettere qualche numero nero su bianco?

Quando si dice “Ho perso il 50% del fatturato a causa del Covid“, è possibile sapere quant’era il fatturato e il guadagno del 2019 e quant’è stato il fatturato e il guadagno del 2020 in termini monetari?

Perché tutti comprendono che se io ho un guadagno annuo di 20.000 euro e ne perdo la metà, sono in difficoltà, mentre se il mio guadagno è di 100.000 euro, sto in tutt’altra situazione.

Faccio questa domanda perché per ragioni di lavoro nel corso degli anni mi è capitato di vedere autodichiarazioni reddituali di lavoratori autonomi. Diciamo che il reddito medio che ho visto dei baristi oscillava tra lo zero e i 3.000 euro annui; quello dei ristoratori, invece (agriturismi compresi) oscillava tra perdite di alcune migliaia di euro e guadagni di 5.000 euro annui.

Roba che mi veniva voglia di dire loro: “Ma vendi la tua attività e vai a lavorare a part time in una cooperativa della logistica e guadagni di più! Ecchecazzo!

Ora, mi appare evidente che se uno nel 2019 guadagnava 5.000 euro all’anno e ha avuto una calo di reddito del 50%, se si becca 2/3.000 euro deve fare i salti mortali, mica andare in piazza a protestare!

O no?

CONSIDERAZIONE

Fai bene tu a parlare! – controbattono i protestatori – Tu hai lo stipendio fisso, qualsiasi cosa accada, mentre io sono in balia degli avvenimenti!

Di fronte a questa osservazione dovrebbe scattare il calcinculo, ma noi (plurale maiestatis) siamo persone perbene e controbattiamo:

Certo, io ho lo stipendio fisso, sicuro finché la mia azienda non chiude. Con il mio stipendio fisso giro in utilitaria, faccio una settimana di vacanze al mare (se va bene) con i figli in un 2/3 stelle, abito in affitto (in proprietà se i genitori mi hanno aiutato ad acquistare casa) e me ne vado a mangiare la pizza la domenica sera se le fatture di gas/luce/acqua/telefono mi hanno lasciato qualche soldo in tasca.

Tu invece, grandissimo cornutazzo, giravi/giri in mercedes (la tua utilitaria), c’hai la seconda casa al mare (e forse anche la terza in montagna), nonché il villone qui in paese e in pizzeria non ti ho mai visto, perché te ne vai dallo chef stellato, qualsiasi bolletta ti sia arrivata.

Quindi, caro il mio cornutazzo, non mi rompere i coglioni con le tue proteste di piazza e vaffanculo!

P.S.: perché ti ho chiamato cornutazzo? Chiediglielo a tua moglie


🙂

12 aprile 2021 Posted by | Storie ordinarie | | 10 commenti

10 aprile 2020

Il 10 aprile 2020 – me lo ricordo bene – cadde di venerdì.

L’Italia era piegata dal coronavirus, con una media di quasi 600 morti al giorno.

Non c’erano cure, le strutture sanitarie erano al collasso.

Non c’erano dispositivi di protezione individuale; le poche mascherine che si riusciva a reperire venivano riservate ai sanitari, che affrontavano il virus armati per lo più di coraggio e buona volontà.

La paura dilagava e l’unica risposta sembrava essere quella di chiudersi in casa.

Le attività economiche erano ferme, le strade deserte, il lockdown era totale.

Quel venerdì pomeriggio io presi l’auto e, munito di autocertificazione, mi recai presso la centrale elettronucleare di Caorso.

Qualche giorno prima avevo letto sul giornale locale che la società che gestisce la dismissione dell’impianto aveva donato all’ASL una fornitura di tute protettive. Allora avevo inviato una mail, chiedendo se potevano fare la stessa cosa anche con la mia azienda. Mi risposero affermativamente, a patto che fossimo andarti noi a ritirarle e così quel venerdì pomeriggio mi imbarcai per l’autostrada, diretto verso il paese della bassa.

Superati i controlli, mi riempirono il bagagliaio di preziose tute protettive, che sarebbero servite per gli operatori più esposti al rischio.

Ricordo ancora le chiacchiere con la persona che mi aveva aiutato a caricare il materiale in auto: era interessato a sapere come stavamo affrontando l’epidemia. Sentivo una sorta di spirito di solidarietà che poche volte avrei sentito in futuro.

E’ stato un periodo molto difficile. L’esposizione al rischio è stata enorme. Il lavoro era convulso, in preda a continue emergenze, qualche settimana sette giorni su sette, senza badare all’orario.

Ora abbiamo più cure, più DPI, abbiamo i vaccini, ma si è perso quello spirito di solidarietà, quel rispetto verso le persone più esposte che c’era un anno fa.

Oggi ci sono i coglioni che vanno in piazza a gridare che vogliono riaprire.

Perché li chiamo coglioni?

Ve lo spiego nel prossimo post.

Foreign affair

10 aprile 2021 Posted by | Guerra al terrore, Storie ordinarie, Vita lavorativa | | 8 commenti

Tanto per puntualizzare…

Estinto fino al 2005, il ceppo H1N1 che provocò l’influenza spagnola è vivo e vegeto, prigioniero in una struttura di contenimento di massima sicurezza ad Atlanta, Georgia.

E’ stato “risuscitato” con l’obiettivo di studiarlo, anche se non tutti sono convinti che sia stata una mossa saggia.

Alcuni scienziati ritengono che sia stata riportata in vita “l’arma biologica forse più efficace oggi nota” e che, essendo il metodo per la sua ricostruzione disponibile su internet, la sua produzione da parte di scienziati improvvisati sia una possibilità reale.

Della serie: noi però siamo sempre i bravi, i cattivi sono sempre gli altri.

18 febbraio 2021 Posted by | Questa poi... | | 4 commenti

Le medaglie hanno sempre due facce

Healthcare cure concept with a hand in blue medical gloves holding Coronavirus, Covid 19 virus, vaccine vial

Stanno facendo scalpore oggi gli articoli dei giornali che parlano di questa notizia: molti operatori delle RSA non vogliono saperne di vaccinarsi contro il Covid-19.

Detta così, la notizia suscita scalpore, anche indignazione.

Ma come! Con tutti i morti che ci sono stati, soprattutto nelle residenze per anziani, sono proprio i dipendenti a non volersi vaccinare?

Premesso che io ritengo che il vaccino anti Covid dovrebbe essere obbligatorio, tolti ovviamente i casi nei quali non può essere somministrato, questa è la tipica notizia che, esplicitata così, lascia il tempo che trova. Anzi, fa più disinformazione che altro.

Anzitutto la notizia deriva da un sondaggio svolto dall’associazione Anaste in Piemonte.

Anaste è un’organizzazione che racchiude diversi gestori privati di strutture socio sanitarie per anziani. Anaste ha anche un proprio contratto collettivo.

I privati, insieme alle cooperative, da tempo gestiscono strutture socio sanitarie per anziani e disabili, perché ci guadagnano.

Le loro gestioni sono improntate al guadagno, realizzato con tre strumenti principali:

stipendi bassi al personale dipendente. La voce di spesa per il personale è quella più elevata in queste strutture. Pagare poco il personale, sfruttarlo, risparmiare sulla formazione incide moltissimo sul risultato economico;

bassa qualità dei servizi. Tutti sanno che molti utenti di queste strutture non hanno parenti, o non si occupano di loro o sono lontani. Molti di questi non badano alla qualità, ma a risparmiare sulle rette;

risparmi derivanti da gestioni associate. Concludere contratti con i fornitori per quantità elevate consente di ottenere prezzi più bassi rispetto a chi contratta per piccole quantità.

L’atteggiamento del personale risultante da questo sondaggio (bisognerebbe anche vedere le modalità con le quali è stato condotto) è una diretta conseguenza di consentire (anzi, spesso agevolare) gestioni di servizi socio sanitari particolarmente delicati improntati alla logica del profitto: non c’è ritorno di qualità, non c’è fidelizzazione del personale. Poi che pretendi?

Come dire: chi la fa l’aspetti.

27 dicembre 2020 Posted by | Questa poi... | | Lascia un commento

Domani…

… ci facciamo una capatina al mare.

Così vediamo come vengono “interpretate” le regole del distanziamento sociale in quel di Riccione.

Temo male, perché dalle poche puntate nei locali pubblici della mia zona, ho visto che se ne fregano tutti, in primo luogo i gestori.

Penso che nelle località turistiche sarà anche peggio.

Io appartengo alla corrente di quelli che pensano che quest’autunno torneremo a farcela sotto (ma forse sarà troppo tardi…).

P.S.: da un paio di giorni mi frulla in testa questa domanda. E’ meglio avere un nemico intelligente o un amico coglione?

12 luglio 2020 Posted by | Storie ordinarie | , | 6 commenti

Cronache dalla terra dei virus (15)

Sono giorni questi che potremmo definire… convulsi?

Sì, convulsi è un termine gentile per dire agitati, incazzati, nervosi, nevrotici, con i nervi a fior di pelle.

Martedì quando sono tornato al lavoro sembrava che fossi stato assente tre mesi, non tre giorni (apposta ho cercato di staccare completamente): sono entrato in ufficio alle otto di mattina e sono uscito alle sette di sera, senza mai fermarmi un attimo.

Poi la notte ho sognato che me ne stavo sul balcone di casa mia, appoggiato alla ringhiera; dal balcone accanto al mio usciva di casa la mia vicina di casa, si sporgeva dalla ringhiera e si gettava di sotto.

E io guardavo dall’alto il suo corpo spiaccicato a terra, tutto raggomitolato su sé stesso, cercavo di chiamare i soccorsi con il telefono ma le mie dita non ne volevano sapere di sfiorare i numeri giusti,e  così dovevo continuamente ritornare indietro, cancellare tutto, in preda all’ansia.

Poi ieri ci si è messo pure il terremoto.

Cioè, io mica l’ho sentito, mi hanno avvertito da casa e l’ho letto sui giornali.

L’ultima volta che ho sentito un terremoto erano gli inizi degli anni novanta. Era un sabato sera, stavo in casa perché avevamo ospiti, si mangiavano dolci e si beveva vino. A un certo punto sono andato in bagno per sciacquarmi la faccia e proprio nel momento in cui mi guardavo allo specchio ho sentito che qualcosa si muoveva intorno a me e ho pensato: “La prossima volta vacci più piano con il vino“. Quando sono tornato dagli altri, stavano tutti zitti zitti e mi hanno chiesto: “Non hai sentito muoversi tutto?

E io: “Mi sa che pure voi dovete andarci piano con il vino!

Buonasera.

P.S.: ho iniziato a mettere la mascherina, soprattutto al supermercato (l’unico posto che frequento oltre l’ufficio). L’ho fatto perché ormai ce l’hanno tutti e gli altri mi guardavano male. Non la sopporto: gli occhiali si appannano continuamente, il respiro si fa pesante e soprattutto quando si parla con gli altri si possono fare tutte le smorfie possibili, senza che l’altro se ne accorga. Dovremo anche abituarci a una periodo di inespressività?

17 aprile 2020 Posted by | Guerra al terrore, Storie ordinarie | , | 2 commenti

Cronache dalla terra dei virus (14)

Tra le tante stronzate che girano per il web, questa a fianco mi ha fatto sorridere.

Effettivamente non deve essere un gioco da ragazzi una convivenza forzata 24/24 7/7, specialmente in certi piccoli appartamenti.

E non deve essere facile nemmeno per chi con la famiglia ci stava ogni morte di Papa.

A me, se devo dire la verità, mi salva un po’ il lavoro, che anzi in questo periodo mi tiene fuori casa più del solito.

Oggi pomeriggio per esempio ho dovuto fare un centinaio di chilometri in auto per lavoro e – a differenza di quanto mi aspettassi – sulla mia strada non ho incontrato alcuna pattuglia delle forze dell’ordine per i controlli. E dire che di auto ce n’erano in giro, secondo me troppe e con troppe persone a bordo.

Io non sono di quelli che premono per la cosiddetta “ripartenza”, forse perché dal mio punto di vista vedo ancora troppi punti critici. La salute prima di tutto, si dice, e secondo me non è soltanto un modo di dire.

Dopo quattro notti praticamente in bianco a causa dell’asma bronchiale provocata dalla mia allergia (quest’anno particolarmente aggressiva), oggi pomeriggio mi sono deciso a contattare il medico, il quale mi ha prescritto una iniezione di cortisone. E infatti stasera riesco a respirare quasi normalmente.

E visto che respiro come un neonato appena uscito dal ventre materno, me ne vado a riposare le mie stanche membra e vi auguro una buona notte e una migliore Pasqua e Pasquetta.

P.S.: eppure io, a ben vedere, di mogli io ne percepisco perlomeno sei o sette…  

10 aprile 2020 Posted by | Guerra al terrore, Storie ordinarie | , | 2 commenti

Cronache dalla terra dei virus (13)

Qualche giorno fa, per la prima volta dall’inizio della pandemia, quando sono uscito di casa (per andare in ufficio) mi sono misurato la febbre: 36,1, 35,8, niente di che. Identica cosa al ritorno dal lavoro.

Un giorno appena alzato avevo 36,7 e la cosa mi ha preoccupato. Dopo la doccia, la colazione e la vestizione, prima di uscire di casa, la temperatura era già scesa a 36.

Mi immagino le lotte all’interno del nostro corpo tra il sistema immunitario e il virus.

Non porto la mascherina, ma vedo all’esterno che ce l’hanno quasi tutti: fra un po’ chi girerà senza verrà scambiato per untore.

Di notte capita di frequente che abbia incubi: a volte legati al lavoro, altre volte all’epidemia, altre volte ricompaiono vecchi fantasmi del passato.

Riesco a mantenere la calma, ma un numero sempre maggiore di persone mi irrita, anzi mi sta proprio sulle palle.

Oggi era la prima di una serie di giornate di sole che ci aspettano per i prossimi giorni: in altra occasione avrei inforcato la bicicletta e sarei partito per le nostre campagne.

Vabbe’, mo’ smetto di lamentarmi, eh?

Buona sera a tutte/i.

Musica!

4 aprile 2020 Posted by | Guerra al terrore, Storie ordinarie | , | 5 commenti