Aquila Non Vedente

Aquila e tutta la sua famiglia (compreso Bibùlo)

Autogrill

Potrà sembrarvi strano, ma a me piace mangiare in autogrill.

Per la precisione: mi piace mangiare da solo in autogrill e quando non c’è ressa.

Non è che mi piaccia per il menù, sia chiaro: a volte i piatti sono buoni, a volte passabili, a volte fanno pena.

Il personale in genere è gentile, forse anche troppo, considerato lo stress che deve subire, soprattutto nei momenti di maggior afflusso di gente.

E ritengo pure che non ci sia un ottimo rapporto qualità-prezzo, come dicono i professionisti.

Mi piace mangiare in autogrill (nello specifico, nei ristoranti degli autogrill), perché si può godere del più assoluto anonimato: puoi essere a venti oppure a duecento chilometri da casa, ma sarai uguale a tutti gli altri, come se fossimo tutti quanti in pausa.

Mi siedo in un angolo e mentre mangio sbircio un poco le altre persone: singoli, in coppia, famiglie, tutti accomunati da una sorta di fugace, effimero passaggio sulla strada della vita.

Le auto che sfrecciano sulla strada mi danno un certo senso di equilibrio, amplificano la sensazione di calma e di tranquillità: tra poco tutti proseguiranno il viaggio, me compreso. Verso dove non importa, ognuno c’ha la sua meta; ognuno c’ha qualcuno a casa che l’aspetta, o forse no, forse non c’è mai stato oppure non c’è più.

Oppure c’è, ma è come se non ci fosse…

Buona settimana a tutte/i.

Autostop

25 novembre 2018 Posted by | Un po' di me | , | 7 commenti

Volevo solo camminare…

E’ un periodo strano questo.

Qualche settimana fa, camminando per il centro del paese (cosa che faccio raramente) ho visto passare sul marciapiede di fronte una ragazza, compagna di classe di mia figlia alle scuole medie, mentre mangiava un gelato (le temperature qui al pomeriggio sfiorano a volte i 20 gradi, si vede in giro qualcuno ancora in maglietta a maniche corte). Camminava tranquillamente mangiando il suo cono, in compagnia del padre, un postino del paese. I due li vedo spesso camminare a piedi, perché il padre è invalido e non guida l’auto.

Osservandoli, sono stato preso da un moto di nostalgia: di quando anch’io camminavo per il paese in compagnia di mia figlia, oppure giravamo in bicicletta, o in moto. Cose che non accadono più da tempo.

Così oggi pomeriggio, terminato il lavoro, quando mia figlia, da bravo “martello pneumatico”, è riuscita a strapparmi l’acquisto di un paio di scarpe ed eravamo tutti e due pronti per uscire, le ho detto: “E’ inutile che prendiamo l’auto per andare in centro, dovendo poi girare come trottole per trovare parcheggio. Andiamo a piedi.

Non l’avessi mai detto.

Si è rifiutata categoricamente di uscire a piedi, continuando a chiederne il motivo (che era quello che già le avevo spiegato).

E così i suoi continui “Ma perché? Ma no!” con toni di voce sempre più striduli mi hanno fatto innervosire, mi sono svestito e ho concluso: “Se non sei neanche disposta a fare 500 metri a piedi, vuol dire che le scarpe non te le meriti proprio.

Lei è tornata a studiare e io a farmi i cavoli miei.

L’episodio però mi ha lasciato dentro un non so che di “amaro”.

Sappiamo che con i figli bisogna sopportarne di tutti i colori, ma non sono tanto sicuro che queste piccole ferite non lascino il segno.

Stasera, quando è venuta a scusarsi prima di andare a letto, ho accettato le scuse solo formalmente: non ho visto nel suo atteggiamento alcun segno di dispiacere per quanto accaduto. Anzi, mi ha pure chiesto perché ero arrabbiato.

Vuol dire che non ha capito un cazzo.

 

 

13 novembre 2018 Posted by | Rimpianti, Storie ordinarie, Un po' di me | , , | 22 commenti

Barcollo ma non mollo

Gli esperti sono ancora divisi circa le ragioni per cui a volte si barcolla un po’.

Alcuni dicono che sia per l’alimentazione: eccesso di proteine da fagioli, per esempio.

Altri sostengono che sia per la crisi economica: uno sente le notizie sulla Grecia e poi ripensa ad altro.

Altri ancora ritengono che la colpa sia di una valvolina che starebbe nel torace, sulla sinistra e che ogni tanto dovrebbe essere scrollata un po’.

In ogni caso, tutti gli esperti concordano sul fatto che il barcollamento non può durare più di 48 ore, oltre le quali potrebbe diventare pericoloso ed esigere interventi più radicali.

Il mio in genere passa entro 24 ore. Basta che sposti il baricentro dei ricordi e passa subito.

E si prosegue…

28 ottobre 2011 Posted by | Musica, Pensieri disarcionati, Ricordi, Smancerie pseudo-sentimentali, Storie ordinarie, Un po' di me | , , , , | 23 commenti

Insensitive

How do you cool your lips after a summer’s kiss?
How do you rid the sweat after the body bliss?
How do you turn your eyes
from the romantic glare?
How do you block the sound
of a voice you’d know anywhere?
Oh, I really should have known
by the time you drove me home,
By the vagueness in your eyes,
your casual goodbyes.
By the chill in your embrace
The expression on your face,
That told me you might have some advice to give…
On how to be…
Insensitive.
On how to be…
Insensitive.
How do you numb your skin
after the warmest touch?
How do you slow your blood
after the body rush?
How do you free your soul
after you’ve found a friend?
How do you teach your heart
it’s a crime to fall in love again?
Oh, you probably won’t remember me,
it’s probably ancient history,
I’m one of the chosen few
who went ahead and fell for you.
I’m out of vogue, I’m out of touch,
I fell too fast, I feel too much.
I thought that you might have some advice to give…
On how to be…
Insensitive.
Oh, I really should have known
by the time you drove me home,
By the vagueness in your eyes,
your casual goodbyes.
By the chill in your embrace
The expression on your face,
That told me you might have some advice to give…
On how to be…
Insensitive.
On how to be…
Insensitive.
On how to be…
Oooh
Insensitive.
Insensitive.

(Ma forse è meglio questa…)

10 giugno 2011 Posted by | Musica, Storie ordinarie, Un po' di me | , , | 19 commenti

Genesi, 2-18 (e una domanda della piccolina)

Leggete questo pezzo della Genesi.

Siamo all’inizio. Dio ha creato il mondo, gli animali e l’uomo e l’ha posto nel giardino di Eden.

E il Signore Dio disse: “Non è bene che l’uomo sia solo: gli voglio fare un aiuto che gli sia simile”.

 Lasciamo perdere per un attimo le facili battute sulla soluzione trovata dal Signore per dare un “aiuto” all’uomo, che ha di fatto aperto la strada a una serie innominabile di catastrofi interplanetarie e concentriamoci su quel “non è bene“: siamo in periodo pre-assaggio mela, nessuno ha peccato, che vuol dire “non è bene“?

Non è bene” significa “male“, non ci sono santi che tengano.

Ergo, la solitudine (perché di questo si parla) è male, è il primo peccato, precedente addirittura a quello cosiddetto “originale”.

L’ha detto Dio, mica un ciripicchio qualunque…

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“Papà, quando a scuola mi chiedono che mestiere fai, cosa devo rispondere? Scrittore?”

“Ehm… cioè… insomma… ecco…”

“Se hai scritto un libro, sei uno scrittore, no?”

“Sì, ok, rispondi pure scrittore! ‘tacci loro!”

26 aprile 2011 Posted by | Libri, Religione | , , , | 105 commenti

L’uomo senza amici

Oggi ho conosciuto l’uomo senza amici.

L’ho conosciuto al supermercato, al termine della spesa; conducevo uno di quei cestini con le ruote e il manico, quando – galeotto fu il pecorino – sterzando improvvisamente verso il banco dei formaggi, i nostri corbelli sono entrati in collisione, proprio davanti al banco degli yogurt. Le nostre spese si sono mischiate; panini e brioche alla marmellata sembrava si salutassero l’uno con l’altro; scatolette di carne e di tonno che si rincorrevano rotolando da tutte le parti; carte igieniche e fazzoletti usa e getta che si scambiavano profumi con i detersivi e i deodoranti per ambienti.

“Mi scusi.” ha detto lui mentre raccattava i suoi acquisti.

“Di niente. – ho risposto io mentre facevo altrettanto con i miei – Lei veniva da destra, aveva la precedenza.”

Mi sono recato in cassa, ho pagato e sono uscito dal supermercato. Nel parcheggio, ho sentito una voce alle mie spalle: “Signore! Scusi signore!”

Mi sono voltato: era lui, l’uomo senza amici. Veniva verso di me con la sua borsa della spesa che era delle stesse dimensioni della mia.

“Credo che nello scontro ci siamo scambiati qualcosa – ha detto, un po’ trafelato – Forse la mia carne è finita nel suo cestino.”

“La sua carne? Non me ne sono accorto.”

Ho frugato nella borsa e ho trovato un sacchettino del banco macelleria. Sarà stato sì e no mezz’etto di carne macinata, sessantotto centesimi.

“Forse è questa?”

“Sì grazie, è proprio questa. Aspetti che gliela pago.”

Ha iniziato a frugarsi convulsamente nelle tasche, concludendo con un “Accidenti! Non ho moneta.”

“Fa niente. Sarà per il prossimo scontro.” ho risposto sorridendo.

“No no, ma ci mancherebbe! – ha proseguito quello – Beh, senta, permetta allora che le offra almeno un caffè.”

E’ stato a quel punto che, per la prima volta, l’ho guardato negli occhi. Il suo sguardo timido e impacciato aveva qualcosa di famigliare, come se quel tipo l’avessi già visto da qualche parte. Non me la sono sentita di rifiutare la sua offerta e così ci siamo diretti, con le nostre borse sempre più uguali, verso il bar del centro commerciale e ci siamo seduti a un tavolino all’esterno.

“Per fortuna mi sono accorto che mi mancava la carne – ha esordito – altrimenti non avrei potuto farmi le lasagne stasera.”

Mi sono ricordato di quel piccolo sacchetto.

“Mi sembra un po’ poca quella carne per le lasagne.”

“Ma io le faccio soltanto per me ed è più che sufficiente. Sa, io non ho amici…” e così dicendo ha abbassato lo sguardo, mostrandomi la sua testa un po’ spelacchiata, proprio come la mia.

“Beh – ho detto – a volte capita di sentirsi soli…”

“No no – ha ribattuto prontamente – non ho detto di sentirmi solo. Io non sono solo. Io sto abbastanza bene con me stesso. Lavoro, leggo ,scrivo, vado in giro in bicicletta, cucino. Io sono soltanto senza amici.”

“Nessun amico? Impossibile.”

“Eppure è così. Giuro. Nessuno con cui parlare, scherzare, litigare, chiedere consiglio o aiuto.”

Mentre pronunciava queste parole osservavo i suoi occhi tristi, che riflettevano una strana luce: per un attimo ho avuto l’impressione che fossero i miei.

“Ma nemmeno da giovane ha mai avuto amici?”

“Alcuni sì, soprattutto ai tempi della scuola, poi le mie amicizie non le ho coltivate e si sono disperse. Nella vita ho avuto genitori, parenti, colleghi di lavoro, conoscenti, compagni di partito, fidanzate, una moglie, dei figli…”

“Lei è sposato?” ho chiesto sorseggiando il mio caffè.

“Lo sono stato. Poi mia moglie se n’è andata. Chi vuole avere un marito senza amici?”

“E i figli?”

“Ne ho due, ma ormai sono grandi e ci vediamo poco. Chi vuole avere un padre senza amici?”

Ho preso il pacchetto di sigarette e gliene ho offerta una.

“Grazie – ha detto allungando la mano – io fumo pochissimo, ma dopo il caffè ci vuole, no?”

“Anch’io fumo pochissimo.” ho replicato, notando che entrambi avevamo l’abitudine di fare uscire la prima boccata di fumo dal naso.

“Non è per farmi i fatti suoi – ho proseguito – ma si dice che vi siano diversi modi per farsi degli amici. Frequentare locali, cinema, palestre. Poi adesso che c’è pure internet…”

“Non è così facile, mi creda. Soprattutto a cinquant’anni.”

La mia età, ho pensato, cercando di convincermi che ne dimostrasse di più, anche se non era vero.

“C’è qualcosa che ci si sente dentro e che non riesce a venire fuori. – ha continuato – Qualcosa che rimane attaccata alla propria pelle, che non trova parole per farsi ascoltare, non trova sguardi per farsi osservare, non trova gesti per farsi avvicinare.”

Non sapevo che dire. Ero in serie difficoltà nel portare avanti quella strana discussione, ma per fortuna lui, l’uomo senza amici, mi è venuto in aiuto.

“Ora devo andare, altrimenti si fa tardi e non faccio in tempo a farmi le lasagne.”

Si è alzato e mi ha teso la mano. Mi aspettavo una stretta debole e molliccia e invece ho sentito una presa forte e decisa, come fosse un desiderio di riscatto – o forse un addio. Ha preso la sua borsa della spesa e si è allontanato. L’ho osservato scomparire nel parcheggio, eclissarsi tra le altre persone, confondersi con le striminzite piante del piazzale, eclissarsi nell’ombra del crepuscolo.

Solo allora mi sono accorto che non aveva pagato il conto.

Epperò! – ho pensato – Ci credo che non ha amici quello! Se invita la gente al bar e poi se ne va senza pagare…

Mi sono diretto al banco, la barista ha schiacciato un tasto della cassa, facendola tintinnare e mi ha consegnato lo scontrino con un sorriso: “Un caffè, un euro.”

Stavo obiettando che i caffè erano due, poi ho guardato il tavolino dov’ero seduto, con la tazzina vuota e il portacenere con un mozzicone e le ho dato l’euro chiesto, ricambiando il sorriso.

Ho preso la mia borsa della spesa, ho controllato di non avere dimenticato di comprare qualcosa – soprattutto la carne macinata – e mi sono diretto al parcheggio, confondendomi tra le altre persone, nella penombra dell’imbrunire.

Devo sbrigarmi – ho pensato – altrimenti non faccio in tempo a farmi le lasagne.

9 ottobre 2010 Posted by | Racconti, Storie ordinarie, Un po' di me | , , , | 56 commenti

Uscire dalla solitudine

Per una persona che si sente sola, la prima difficoltà nel leggere libri sulla solitudine è quella di andarli a comprare.

Sì, perché bisogna uscire di casa, abbandonare il proprio guscio protettivo e addentrarsi in una libreria, con il rischio di incontrare altri esseri umani, forse anche qualcuno che conosci e che ti assale: “Ciao! Quanto tempo! Ma cosa hai comprato? La solitudine? Ma non dirmi che ti senti solo, vecchio marpione! Perché non vieni a casa mia sabato sera che c’è una cena tra vecchi amici? Sai che viene anche Alice? Sì sì, proprio lei – e accompagna la descrizione con un inequivocabile movimento rotatorio delle braccia e delle mani – quella con due airbag… Ora si è lasciata con il fidanzato, sai?”. E tu pensi che ti ricordi eccome di Alice, ma a differenza degli altri, non hai mai spettegolato sui suoi airbag e infatti non t’ha mai cagato e se adesso s’è molata con il fidanzato, che vada a cagare.

Potresti comprare i libri su internet! Direbbe qualche furbone, ignorando che per le persone sole è quasi impossibile acquistare su internet, perché le consegne avvengono tramite corriere e se non c’è nessuno a casa, succedono malintesi inenarrabili.

Comunque sia, se si riesce a superare questo scoglio, può darsi che ci si ritrovi per le mani questo libro.

Olga Chiaia è una psicoterapeuta (nessuno è perfetto) che attualmente vive e lavora nella capitale della mia provincia, Piacenza (mi dispiace per lei).

Sono incappato nel suo libro mentre, al culmine di una giornata all’insegna dell’ottimismo, cercavo un’edizione economica dei Sepolcri di Ugo Foscolo, ho letto la quarta di copertina e l’ho comprato, insieme all’altro e a un altro ancora.

Esistono, in sintesi, due tipi di solitudine. Quella che può essere un momento per cambiare e crescere, occasione di raccoglimento e riflessione, alternata a momenti di comunicazione e di espansione. Una solitudine scelta e accettata, creativa, consapevole.

Poi c’è un’altra solitudine, che ti tiene fuori dagli scambi vitali, sofferta, vuota, senza affetti. Un buco nero, insomma, una trappola.

Il malessere della solitudine è un sintomo, un segnale biologico che ci sprona a rinnovare la connessione sociale per non ammalarci a qualche livello. Occorre liberarsi dalle paure e dalle distorsioni interpretative, per rendersi più disponibili agli altri, anche pochi.

Ma ci sono due ordini di problemi. Uno sociale: paura, diffidenza, assenza di luoghi d’incontro, mancanza del senso di comunità non favoriscono certamente incontri e rapporti distesi tra le persone.

E poi c’è un problema personale, anzi spesso ci sono caterve di problemi personali che impediscono che i rapporti di amicizia fluiscano spontanei.

Questo libro non è un manualetto per farsi gli amici. E’ un libro che, secondo me soprattutto nella seconda parte, offre diversi spunti di riflessione su sé stessi, sul proprio modo di porsi agli altri.

E’ un libro che ci parla della necessità di essere gentili, di amare il prossimo ma anche sé stessi, di ascoltare, essere pazienti, condividere, con la consapevolezza che “Certe volte una soluzione immediata non c’è. Resti solo. E’ importante non sentirsi in colpa, non deprimersi, non arrabbiarsi con nessuno, e non spaventarsi”.

Non spaventarsi. Mi piace questo consiglio. Perché é brutto spaventarsi, forse non ci pensiamo abbastanza. Si spaventano soprattutto i bambini e gli anziani, quelli che dovremmo, in quei momenti, prendere per mano e rassicurare, calmare, rimettere in pista guardando le cose dal giusto punto di vista.

Ma se si spaventa chi è solo, rischia di annaspare inutilmente, senza trovare alcun gesto o parola rassicurante.

Dietro le nuvole, l’amicizia e l’amore” recita il sottotitolo del libro. Un piccolo passo in avanti nella difficile e dolorosa ricerca di me stesso, sperando di non perdermi.

18 marzo 2010 Posted by | Un po' di me | , , | 17 commenti

Stasera…

… rientrare a casa è stato particolarmente spiacevole.

Sarà perché quando la piccolina rimane con me diversi giorni e poi se ne va, lascia dietro di sé un vuoto abissale.

Sarà perché la giornata lavorativa è stata merdaiola.

Sarà perché sono passato a trovare mia madre in casa di riposo e non l’ho vista molto bene.

Sarà perché… boh…

Rientrare a casa e trovarla deserta è stato pesante. I tortellini con ripieno di verdure grigliate non hanno migliorato molto la situazione. Figurarsi che io, che sono un aracnofobo di prima categoria, mentre mi cambiavo in camera da letto ho visto un ragno sul muro che, un po’ rincoglionito, tentava di guadagnare il retro dello specchio. In altre occasioni avrei avuto una reazione alla Walker Texas Ranger. Stasera l’ho osservato un po’ (forse anche lui lo ha fatto) e ho pensato: “Lasciamolo stare, che almeno stasera qui saremo in due…“.

P.S.: stamattina il topo (cioè il sottoscritto) si è accorto di avere dimenticato di mettere sul comodino la tangente per la caduta di un premolare della piccolina avvenuto ieri pomeriggio. E così, mentre lei cercava per tutta la casa chiedendosi: “Ma papà, il topo non è passato!“, il topo (cioè il sottoscritto) ha aperto di fretta il portafoglio e si è accorto di avere dentro una sola banconota da cinquanta euro! E mentre la piccolina, trovatola improvvisamente sotto al cuscino (“Ma papà, come avrà fatto a metterla sotto al cuscino?” “Beh, sai, il topo è un po’ magico… E poi tu sul tuo cuscino non ci dormi mai, perché te ne stai sempre sul mio!“), la sventolava felice e correva a metterla nel suo borsellino, il topo (cioè il sottoscritto) pensava: “Mannaggia! Devo ricordarmi di passare al postamat, che altrimenti non c’ho manco i soldi per comprare il giornale!

10 febbraio 2010 Posted by | Pensieri disarcionati, Un po' di me | , , | 31 commenti

Il cellulare, un vecchio stanco e il gioco del tris.

Il cellulare che utilizzo attualmente l’ho acquistato nel novembre 2007.

L’apparecchio precedente, della stessa marca, mi è stato rubato una domenica mattina da un ragazzo nordafricano mentre camminavo in una via centrale del paese. Troppo tardi mi sono accorto che lo stronzone mi si era avvicinato troppo ed era troppo insistente. Quando mi sono accorto del furto – e avere promesso il voto leghista per i successivi cinquant’anni, nonché avere caldeggiato l’espulsione di tutti gli extracomunali – ho bloccato la SIM, ho sporto denuncia e il giorno successivo ho anche bloccato il telefono. Dal sito del gestore ho poi appurato che lo stronzone aveva effettuato tre o quattro chiamate in Marocco, prosciugandomi il credito. Oltre al disagio di aver dovuto ricostruire la rubrica, ho perso anche qualche foto carina, soprattutto della piccolina. Quel cellulare ce l’avevo da poco più di un anno, da quando quello precedente – sempre della stessa marca e quindi, per la proprietà transitiva, della stessa marca di quello attuale – mi aveva lasciato a piedi una domenica mattina (si sarà capito che la domenica mattina è il momento critico per i miei cellulari): improvvisamente era sparito il display, per non ricomparire mai più e un cellulare senza display è inutilizzabile.

Il cellulare attuale, insomma, ce l’ho da circa due anni e tre mesi, è dotato di tutto quello che mi serve e l’unico difetto che ha sono le batterie, che hanno una durata molto limitata (è un difetto comune dei cellulari della mia marca, comunque), non superiore ai due giorni. Negli ultimi giorni, però, mi è sembrato di notare per due-tre volte qualche “cedimento” del display interno, quello principale. Mi è venuto il sospetto, insomma, di dover prevedere prossimamente l’acquisto di un apparecchio nuovo.

Tutto questo per dire che venerdì sera ero al ristorante con la piccolina, con la neve che scendeva a gargarozzi. Mentre stavamo mangiando – penne al salmone per lei e trofie gamberetti e zucchine per me – le ho scattato una foto con il cellulare. Ovviamente, lei ha voluto fare altrettanto e quando ho guardato il display ho visto un vecchio stanco: io.

La mia prima reazione è stata: “ecco la prova che il display del telefono è partito definitivamente!”, ma mi sono accorto subito che questa spiegazione era una ciofeca: il display non c’entra niente.

Allora ho pensato: “E’ perché ho la barba lunga.” e ho concluso che dovrei fare più attenzione al mio aspetto fisico: tenere la barba sempre corta; smetterla con queste felpe e tornare a indossare qualche giacca o qualche maglioncino con la camicia; riprendere finalmente a fare attività fisica e comprare quella crema rivitalizzante che ho visto in negozio l’altro giorno. E poi tutta un’altra serie di aggiustamenti vari che ora non sto a elencare.

Terminato l’elenco dei buoni propositi – e terminate anche le trofie – la conclusione è stata più terra-terra: io appaio un vecchio stanco perché io mi sento vecchio e stanco. Questa è la realtà.

E allora oggi mi è venuto in mente questo parallelepipedo: la mia vita è come una giocata a tris.

Nel tris uno deve mettere in fila tre crocette o cerchietti. Io finora ne ho messe in fila due.

La prima è mia figlia, senza la quale tutto quello che faccio avrebbe ben poco senso. Una volta questa crocetta comprendeva tutta la famiglia al completo, poi le cose hanno preso una piega diversa.

La seconda è, attualmente, la mia tortuosa attività letteraria. Una volta questo spazio era occupato dal mio lavoro e dall’attività politica. Ora il lavoro è diventato un incubo e serve soltanto per portare a casa lo stipendio e l’attività politica l’ho abbandonata da tempo.

Rimane lo spazio per la terza crocetta (o cerchietto).

Ho l’impressione che quello spazio rimarrà vuoto molto a lungo e io non vincerò mai a tris.

7 febbraio 2010 Posted by | Storie ordinarie, Un po' di me | , , , | 9 commenti

Domani è febbraio (e la cosa si fa preoccupante)

Ho terminato un racconto per un concorso letterario e l’ho spedito.

Considerato che non è la prima volta che decido di partecipare a concorsi letterari e poi “sfondo” i termini, stavolta ho versato la quota di partecipazione in anticipo, così la tirchieria mi ha spronato a terminare il lavoro in tempo.

Ma in questi giorni mi sono trovato a pensare che sta arrivando febbraio.

Che vuol dire questo? Vuol dire che a febbraio compaiono improvvise giornate soleggiate, anticipi della primavera, per lasciare poi spazio alle giornate piovose (e pallose) di marzo e aprile. E in queste dolci giornate di febbraio io vengo acchiappato dalla nostalgia: sono giornate nelle quali vorrei essere lontano lontano.

Insomma, mi stavo preparando a febbraio, mentre le previsioni meteo pronosticano neve in padania per domani e quindi pensavo di avere ancora un po’ di tregua, quando ho letto questo post.

Dove vanno i pensieri tristi di chi guarda il cielo, e perde lo sguardo nel lucore delle stelle lontane?

(Una che usa il termine “lucore” meriterebbe un premio soltanto per questo)

Dove vanno i ricordi struggenti di  un amore lontano, un amore che si è perso fra le brutte pieghe dei giorni che mangiano giorni?

Già, dove vanno i pensieri tristi e i ricordi? Ci sarà un deposito da qualche parte? Un parcheggio? Oppure sono sempre in movimento?

Poi mi è venuta un’idea.

Forse possiamo scoprirlo dove vanno, o dove sono.

Già, perché quando abbiamo un pensiero, evochiamo un ricordo, osserviamo una foto o risentiamo una voce, forse non ci rendiamo conto che questi sono soltanto i link ai nostri ricordi o ai nostri pensieri tristi. Loro stanno da un’altra parte.

Forse basterebbe schiacciare un po’ meno il maus della nostalgia quando compare la manina con il ditino (che dovrebbe essere l’indice, perché se si tratta del medio allora c’è di che preoccuparsi…) e cliccare da un’altra parte…

Ma questi sono soltanto pensieri disarcionati di uno che sta aspettando febbraio…

Buon febbraio a tutte/i.

31 gennaio 2010 Posted by | Pensieri disarcionati, Un po' di me | , , | 19 commenti