La gioia avvenire
Questo è uno di quei libri che veramente mi chiedo: ma come fanno gli editori a pubblicarlo?
Qual è il meccanismo editoriale che spinge Mondadori a pubblicare una storia scritta in questo modo?
La chiamano “lingua scabra e spigolosa”: sembra un insieme di appunti nei quali a volte (spesso) si perde il filo e a un certo punto ho anche rinunciato a cercare di riprenderlo.
Mi spiace perché l’autrice è delle mie parti.
E pensare che è pure stata finalista al Premio Calvino…
P.S.: fortunatamente l’ho preso in prestito in biblioteca.
L’esorcista
Correva l’anno 1973 (o 1974, non ricordo bene) e io tendevo a divorare libri.
Un’amica di famiglia me ne prestò uno appena uscito: l’esorcista.
Ovviamente divorai pure quello e ne rimasi sconvolto.
Dal libro ricavarono poi un film che io ovviamente no vidi mei e per quasi cinquant’anni ho evitato accuratamente di vederlo: tutte le volte che passava in tv la sera non accendevo nemmeno l’apparecchio, per evitare di sbirciarne anche solo qualche scena.
In realtà il libro è forse ancora peggio del film, perché l’immaginazione corre.
Più di una volta mi sono chiesto: ma di cosa hai paura? Del diavolo?
No, peggio.
La mia paura era che la mente uscisse sconvolta, di essere assalito dalle paure.
Orbene, per farla breve, venerdì prossimo il film passa in tv.
Qualche giorno fa mi sono trovato improvvisamente di fronte al trailer e, invece di girare canale, che ho fatto? L’ho guardato e mi è sembrato un enorme cartone animato. Per cui mi sono detto: mi devo liberare da questa cacarella.
Che dite? Lo guardo?
Lezioni di sogni
Mi è sempre piaciuto Paolo Crepet: parla chiaro e su molti concetti sono d’accordo, come quelli che esprime in questo suo ultimo libro.
A cominciare dall’importanza dell’educazione, che è (o dovrebbe essere) una missione, una specie di periscopio al contrario: invece di investigare la superficie, dovrebbe esplorare il mistero interiore. E l’educazione porta con sé il rispetto e la reciprocità, che valgono non solo per i figli, ma anche per i genitori e gli insegnanti.
“Sarebbe fondamentale – scrive – nell’educazione quotidiana, insegnare l’umiltà come arte dell’attesa, del saper aspettare una parola, un incoraggiamento, una critica“.
Insiste sulla speranza quale incentivo per fare figli, non sulle mancette governative.
Che i genitori sappiano svegliare la passione nei loro figli.
Un vecchio adagio dice: “Se vuoi arrivare presto, vai piano“, perché il senso della vita è nel sapore di quello che si sta facendo.
Tanti concetti che sembrano in disuso e infatti la nostra società sta sprofondando sempre di più.
Ci riprovo
Dallo scorso anno mi è, venuta voglia di riscrivere il mio libro.
Quello pubblicato da un piccolo editore di provincia, che ha vinto un premio letterario ma che ha venduto meno di cento copie.
C’avevo rinunciato, pensavo di mettere definitivamente in soffitta le mie ambizioni letterarie, poi improvvisamente da qualche mese ci ho ripensato: voglio riscriverlo.
Allora ho partecipato a una selezione per un laboratorio letterario presso un importante editore nazionale, e sono pure stato scelto per partecipare, ma ho rinunciato.
Perché hai rinunciato? vi chiederete (o forse non ve lo chiedete, perché non ve ne frega una cippa, ma io ve lo dico lo stesso).
Ho rinunciato perché non mi sento pronto.
Non mi sento pronto a sostenere un’analisi del mio libro prima di averlo rivisto da cima a fondo.
Forse ci impiegherò altri dieci anni, ma tanto il tempo non mi manca: in fondo di anni ne ho solo 62…
E’ mia intenzione partecipare al Premio Calvino del 2023.
Lo so che non è facile. Il termine per la presentazione dei lavori nel 2022 era il mese di giugno. Se rimane tale anche per il 2023, ho di fronte circa cinque mesi, che sembrano tanti ma non lo sono.
E poi quello è un premio letterario serio, mica per scribacchini come me.
Però io ci provo lo stesso.
Non si sa mai…
Libere
Sottotitolo: “Il nostro NO ai matrimoni forzati“.
Fatima, Yasmine, Zoya, Khadija e X sono le cinque autrici di questo libro (i nomi sono di fantasia) che non incontreremo mai, perché hanno deciso di raccontare le loro storie di ribellione a matrimoni forzati, rinunciando alla loro identià e allontanandosi dalle loro famiglie, per ricostruirsi una vita.
Donne che sono riuscite a chiedere aiuto, che sono sfuggite alla prigionia e anche alla morte.
X è la sola che ha deciso di tornare in famiglia e non ha potuto nemmeno farsi intervistare, ma ha rilasciato una testimonianza scritta.
Sono pakistane, bengalesi, marocchine.
Una breve cronologia ricorda i casi più eclatanti, a iniziare da Maria Rosa Vitale che nel 1939 in Sicilia viene rapita per tre giorni, stuprata e alla fine rifiuta il matrimonio riparatore e, sostenuta dal padre, denuncia lo stupratore, passando per Kaur Balwinder, di origine indiana che nel 2012 nel piacentino viene uccisa dal marito e gettata nel Po perché troppo “disinvolta”, fino ad arrivare a Saman Abbas che nel 2021 a Novellara sparisce e viene ritrovata un paio di mesi fa, seppellita in un casolare abbandonato, per lo stesso motivo.
Nel 1997 in Romagna è stata fondata l’associazione Trama di Terre, per contrastare le discriminazioni e la violenza sulle donne e fornire assistenza.
In Italia fino al 1981 era consentito il matrimonio riparatore. Nel 1965 Franca Viola, diciassettenne siciliana, viene rapita dal mafioso Filippo Melodia. La polizia riesce a rintracciarli e lei, sostenuta dalla famiglia, si oppone al matrimonio e fa condannare il suo rapitore. E solo nel 1996 la violenza sessuale diventa un reato contro la persona e non contro la morale pubblica. E, dulcis in fundo, è dal 2019 che è stato introdotto nel nostro ordinamento il reato di costrizione o induzione al matrimonio.
Uno dei primi report sul fenomeno indica che dopo due anni dalla legge sono state censite 35 denunce. L’85% sono a danno di donne; un terzo dei casi riguarda minorenni; il 57% sono pakistane; la la maggior parte delle violenze si sono verificate al Nord Italia.
Da leggere: Non sottomessa, di Ayaan Hirsi Ali.
Il lavoro con gli anziani in casa di riposo
La “managerializzazione” delle attività di cura porta a vedere il lavoro con gli anziani (e i disabili) solo come accompagnamento alla morte.
Le attività vengono standardizzate per risparmiare, principalmente sul personale.
In struttura non entra una persona con una storia alle spalle, ma un “utente”, se va bene un “ospite”, se va proprio male un “malato” (perché anche la sola vecchiaia viene considerata una malattia).
Le strutture pubbliche si salvano un po’ di più, ma quelle private (cooperative comprese) sono un disastro: l’obiettivo è il guadagno.
Non esiste alcuna valorizzazione del personale, chiamato soltanto a rispettare tempi di lavoro sempre più ristretti, evitando qualsiasi “sgarro” dalle procedure.
Certo, ci sono anche le eccezioni, ma sono appunto tali.
Agli inizi della mia carriera, quando un operatore guadagnava circa un milione e duecentomila lire al mese, un giorno vidi la busta paga di una dipendente della cooperativa che lavorava all’interno della nostra struttura: per lo stesso lavoro percepiva ottocentomila lire al mese, un terzo in meno del suo collega.
Le cose oggi non sono cambiate: l’assistenza è la sorella povera della sanità, e quando la sanità sta messa male, l’assistenza è al collasso.
E lo Stato invece di investire e controllare, prima appalta i servizi al massimo ribasso, poi manda i NAS, come se militarizzando i controlli si risolvessero i problemi.
Non nel mio nome
Quando uno ha voglia di esprimere le sue opinioni, lo fa in casa (ammesso che ti stiano ad ascoltare), al bar (ammesso che ci sia qualcuno che ti ascolta), sui social (ammesso che ci sia qualcuno che ti legge).
Poi c’è chi ci scrive un libro, e magari trova pure un editore che glielo pubblica, e magari trova pure qualcuno che glielo compra.
O magari – come nel mio caso – trova qualcuno che lo prende in prestito dalla biblioteca, dicendosi alla fine: “meno male che non l’ho comprato”.
Perché spendere dodici euro per conoscere l’opinione di Santoro sulla guerra in Ucraina, sull’informazione televisiva o sulla sfiducia della gente nei partiti, a me sembra eccessivo.
Che poi su diverse cose che scrive sono anche d’accordo (salvare la Grecia dieci anni fa sarebbe costato all’Europa molto meno delle armi che ora inviamo agli ucraini), ma mi aspettavo qualcosa di più, insomma (lo sapevamo già che dopo dieci anni di guerra in Afghanistan, Bin Laden è stato ucciso in Pakistan e dopo altri dieci anni ci siamo ritirati in modo vergognoso, dopo avere fatto tante di quelle vittime civili che a confronto la guerra in Ucraina è uno scherzo).
Santoro rappresenta indubbiamente una voce “stonata” nel panorama televisivo, e ha ragione quando scrive che non sappiamo più confrontarci con chi la pensa diversamente, soprattutto se la si pensa diversamente dal pensiero (e dall’informazione) dominante.
P.S.: però non sapevo che Bruno Vespa, per la sua trasmissione “Porta a Porta” ha contratti con la RAI che vanno oltre la sua esistenza.
Qualcosa di nuovo si impara sempre…
Buon anno!
Trilogia della città di K.
Inquietante, perverso, oscuro, angosciante, ma attraente.
Divorato in pochi giorni.
Roba da svegliarsi la notte, prenderlo in mano e proseguire la lettura finché gli occhi non si chiudono dalla stanchezza.
Non saprei farne una descrizione.
Uno stile di scrittura mai vista e mai letta., soprattutto nella prima parte.
Alla fine si dovrebbe capire tutto.
Io non so se ho capito tutto, ma quello che mi è rimasto dentro mi è bastato.
E tre…
Per me iniziare a leggere un libro e non finirlo rappresenta una sconfitta.
Non solo per i soldi spesi (buttati?), che comunque di questi tempi non sono mica ciufoli, ma anche perché è come abbandonare… che so… un cane in autostrada, ecco! (vabbè, la metafora non sarà proprio all’altezza di Bersani, ma accontentatevi…)
Ricordo che anni fa abbandonai L’isola del giorno prima di Umberto Eco. Me lo portai in vacanza, da leggere sotto l’ombrellone, ma gettai la spugna senza finirlo. Di quella vacanza ricordo che davanti a me stava una donna che sdraiata in topless e aveva due… come dire… due… come colei che ha vinto le elezioni, ecco!
Ricordo che di Eco lessi Il nome della rosa e ne rimasi entusiasta, poi Il pendolo di Foucault e non fu un’impresa semplice e infine quello abbandonato.
Orbene, visto che le temperature si sono abbassate e sto archiviando la bicicletta, mi sono detto: perché non ne approfittiamo per leggere alcuni libri che se ne stanno intonsi sullo scaffale in salotto?
Detto fatto.
Il primo libro preso in mano è stato questo: Ogni cosa è illuminata di Jonathan Safran Foer Di questo autore ho letto Possiamo salvare il mondo, prima di cena, molto interessante, commentato su questo blog. Il romanzo in questione invece l’ho abbandonato a pag. 55 su 360 con un semplice messaggio lasciato alla fine: desisto. Pagato 9,90 euro nel 2017 come allegato a Repubblica.
Il secondo libro affrontato è stato invece di un autore del quale ho letto diversi romanzi, tutti apprezzati: Vivere per raccontarla di Gabriel Garcia Marquez. Di Marquez ho letto Cent’anni di solitudine (eccetto l’ultimo capitolo. A essere rigorosi anche questo è stato un libro abbandonato…) e altre storie. In linea generale mi piacciono queste storie centroamericane, che sanno di sole, sudore e donnine di facili costumi (cioè puttane, con una dignità però molto superiore a tante persone di mia conoscenza). Oscar Mondadori 2003, 4,60 euro, abbandonato a pagina 138 su 535.
Dopo questi due tentativi di recupero di libri giacenti in libreria, sono stato tentato da un attentato: quello teso a Salman Rushdie circa un mese e mezzo fa (a proposito, pare non si sappia bene come sta).
Ho quindi acquistato I versi satanici nella versione Oscar Mondadori (15 euro, con segnalibro, che si può utilizzare anche come strumento per esorcizzare eventuali musulmani fanatici residenti nel condominio che volessero attentare all’occasionale lettore del satanico tomo. Non nel mio. Ci sono solo indiani che cucinano speziato, cosa che fa incazzare a morte la mia famiglia ma piace molto a me, tant’è vero che a volte rientrando a casa la sera sono tentato di suonare il campanello e farmi dare un po’ di quei sapori). E niente, abbandonato a pag. 132 su 576, ma dopo un tur de fors (!) di inimmaginabile fatica.
Adesso a dire la verità non ho il coraggio di affrontare un nuovo libro.
Queste vicende mi hanno ferito profondamente come lettore, sono in crisi d’identità, dovrei andare dall’analista?
Quel che resta del giorno (il libro)
Un grande libro, una storia scritta in modo magistrale da uno che si vede che ha vinto il Nobel per la letteratura (Kazuo Ishiguro, Nobel per la letteratura 2017).
La storia di per sè è una di quelle nelle quali non succede niente: un maggiordomo (Stevens) si fa una settimana di ferie in giro per l’Inghilterra e ne approfitta per fare una visita all’ex governante (Miss Kenton), che potrebbe tornare a lavorare insieme a lui.
Ma il viaggio è l’occasione per Stevens per rivedere la sua vita, il suo rapporto con i suoi datori di lavoro, il suo concetto di fedeltà e di dignità. E un tarlo si insinua nella sua mente: nella sua vita non c’è stato posto per l’amore, soprattutto per quello che poteva nascere con Miss Kenton, che se n’è andata quando si è sposata e gli ha scritto che il suo matrimonio è in crisi e ricorda piacevolmente il periodo del suo lavoro insieme a Stevens.
Non svelo come finisce la storia, dico soltanto che raramente ho letto un libro scritto in modo così magistrale (a parte Sebastiano Vassalli), che non si dilunga in inutili elucubrazioni e che fa riflettere su quello che la propria vita avrebbe potuto essere e invece non è stata.
P.S.: ovviamente ho voluto vedere anche il film.