Aquila Non Vedente

Aquila e tutta la sua famiglia (compreso Bibùlo)

L’influenza spagnola a New York

Nel 1918 New York contava cinque milioni e seicentomila abitanti (solo Londra la superava al mondo).

Alla base della sua espansione stava l’emigrazione: tra il 1880 e il 1920 arrivarono negli USA più di venti milioni di persone, quasi tutte proveniente dall’Europa orientale e meridionale.

Affrontare l’epidemia  d’influenza spagnola era dunque una sfida particolarmente difficile, avendo a che fare con comunità diverse che avevano ben poco in comune, se non gli angusti spazi dove vivevano.

Il commissario per la sanità della città si chiamava Royal Copeland, era un medico e omeopata.

Il 12 agosto del 1918 arrivò nel porto una nave norvegese con il contagio a bordo, ma soltanto agli inizi di ottobre si riconobbe ufficialmente l’epidemia.

Copeland prese tre decisioni fondamentali: scaglionò gli orari di apertura di fabbriche, negozi e cinema, eliminando l’ora di punta, creò 150 centri di emergenza sparsi per la città e (decisione più controversa) tenne aperte le scuole, perché Josephine Baker, responsabile dell’igiene infantile, lo convinse che sarebbe stato più semplice controllare i bambini a scuola e curarli, nutrendoli in modo adeguato e utilizzandoli come tramite per comunicare alle famiglie importanti informazioni igieniche. Quell’autunno nessun bambino in età scolare si ammalò d’influenza.

Copeland non chiuse i luoghi d’intrattenimento, ma impose regole rigide. Durante la pandemia furono vietati i funerali pubblici (solo il coniuge poteva accompagnare il defunto) e fu dichiarato obbligatorio il ricovero in ospedale dei malati che vivevano in caseggiati affollati.

Di tutti gli immigrati presenti in città, il gruppo più recente, più povero e in crescita più rapida era quello italiano: dal 1880 ne erano arrivati circa quattro milioni e mezzo. Erano soprattutto contadini provenienti dall’Italia meridionale, particolarmente vulnerabili alle malattie respiratorie. Antonio Stella, un medico di origini italiane, li curava in ospedale e li andava anche a cercare in giro per la città.

Gli italiani erano considerati sporchi, trasandati, criminali, alcolizzati, comunisti, ricettacoli di tutte le malattie. Per Stella il metodo migliore per rispondere a questi pregiudizi era l’integrazione, perché anche in passato le ondate migratorie avevano scatenato pregiudizi razziali. Negli anni trenta dell’ottocento i poverissimi immigrati irlandesi furono incolpati della diffusione del colera. Verso la fine dello stesso secolo la tubercolosi era nota come “malattia degli ebrei”.  E quanto nel 1916 scoppiò un’epidemia di poliomielite la colpa ricadde sugli italiani.

Stella capì che i problemi di salute degli immigrati erano sorti in America e non se li erano portati dietro dall’Italia. Il problema maggiore era il sovraffollamento degli edifici nei quali vivevano, aggravato dall’ignoranza e dalla superstizione: erano convinti che le malattie dovessero fare il loro corso e vedevano i medici con sospetto, considerando l’ospedale un posto dove si andava a morire.

Il principale quotidiano in lingua italiana di New York (il Progresso Italo Americano) sostenne la decisione di Copeland di tenere aperte le scuole: invece di bighellonare incustoditi per le strade, i bambini restavano in ambienti maggiormente igienici, aerati e controllati.

Grazie alla sua precedente battaglia contro la tubercolosi, la popolazione di New York aveva familiarità con i principi di base della sanità pubblica. A nessuno dei gruppi di immigrati fu data la colpa dell’influenza.  La comunità italiana arrivò persino a finanziare un nuovo ospedale italiano a Brooklyn.

Copeland sostenne la campagna a favore di case popolari più vivibili, sostenne che gli esami medici agli immigrati dovessero essere svolti prima della partenza e si rammaricava dello spreco di contadini capaci costretti a fare i venditori ambulanti in America. Proseguì il suo lavoro di riforma della struttura sanitaria pubblica. Nel 1934 fu inaugurato il primo progetto di edilizia pubblica della città; sindaco era Fiorello La Guardia, figlio di immigrati italiani.

Ogni tanto un po’ di storia fa bene…

14 febbraio 2021 Posted by | Manate di erudizione | | 3 commenti

Patrice Lumumba

Tutti presi da questa strampalata crisi di governo, pochi hanno ricordato che ieri, 17 gennaio, era il sessantesimo anniversario dell’omicidio di Patrice Lumumba.

In realtà quando fu ucciso Lumumba io avevo un anno, ma ricordo quando, alla metà degli anni sessanta, vivemmo l’abbandono dell’Africa da parte di un’altra ex potenza coloniale: il Portogallo e la conquista dell’indipendenza da parte di diversi Stati africani.

L’omicidio di Lumumba ha ben rappresentato le responsabilità dell’occidente nei confronti dello sfruttamento dell’Africa, che non sono certo terminate ma che oggi seguono strade diverse, forse più “raffinate”.

La stessa cosa è accaduta con i Paesi arabi: per evitare che si diffondessero i comunisti, si è preferito aprire le porte agli jihadisti. Poi però non ci si può lamentare se ci abbattono le torri (ma non negli scacchi).

P.S.: nessuna reazione avversa al vaccino. Solo una strana voglia di cibo cinese…

Abba – Dancing Queen

 

18 gennaio 2021 Posted by | Politica | , | 2 commenti

1956 L’anno spartiacque

Luciano Canfora riesce a narrare la storia come se fosse un grandioso romanzo.

Riesce a legare i fatti accaduti nello stesso periodo.

Riesce a raccontare gli antefatti.

Riesce a evitare quelle noiose e destabilizzanti note a piè di pagina, inserendo i richiami agli altri libri nel ragionamento.

Questo agile testo racconta quanto accaduto nel 1956, anno spartiacque non solo in Europa.

Tre fatti soprattutto sono accaduti: il XX congresso del Partito comunista dell’URSS, con il cosiddetto “rapporto segreto” di Krusciov che avvia la “destalinizzazione”; la rivolta in Ungheria con l’intervento delle truppe del Patto di Varsavia (ma in realtà solamente russe) per reprimerla;  la nazionalizzazione del Canale di Suez da parte dell’Egitto di Nasser, con il conseguente intervento militare di Israele prima e di Francia e Gran Bretagna dopo.

Racconta come sono stati vissuti questi avvenimenti in Europa e in Italia, soprattutto nel PCI.

Viene un po’ di nostalgia a leggere di quando (mezzo secolo fa) c’erano ancora i partiti con i relativi dirigenti (Togliatti, Nenni), ci si divideva anche su questioni ideologiche, il mondo era ancora diviso in due blocchi. Si era da poco usciti da una terribile guerra mondiale e i rischi di un altro conflitto non erano certamente spariti. C’erano ancora le potenze coloniali europee (Francia in primis) e mi viene difficile pensare con quali categorie mentali ragionassimo nei decenni immediatamente successivi, gli anni settanta e ottanta, prima della caduta del muro di Berlino.

E mi rendo conto che gli anni della mia giovinezza sono già storia!

Mamma mia…

P.S.: una cosa ho scoperto che mi era completamente sconosciuta e che vorrei approfondire. Il 29 ottobre 1956 le truppe israeliane attaccano a sorpresa l’Egitto e invadono la penisola del Sinai, puntando sul Canale di Suez. Oggi si sa che il suggerimento all’offensiva venne da Francia e Inghilterra, che il giorno dopo intervennero direttamente con le loro truppe. In questo contesto il governo francese propose all’Inghilterra una unione statale, cioè la formazione di un unico stato. La proposta fu respinta dagli inglesi, ma rimane una prospettiva fuori dall’ordinario. Chissà quale sarebbe stata la capitale…

2 Maggio 2019 Posted by | Libri | , | 5 commenti

Sdoganare “quando c’era lui”?

Se le parole di Tajani, presidente del Parlamento Europeo, sul fascismo italiano sono quelle che si leggono qui, ha detto una cazzata.

Ha detto una cazzata come di chi dice: sì, ho ammazzato un paio di pedoni sulle strisce pedonali perché andavo a novanta all’ora in pieno centro storico, ma prima avevo fatto lavare l’auto!

Ma Tajani non è un’aquila. Tutt’altro. C’è chi dice che abbia pronunciato quelle parole per strizzare l’occhio a chi potrebbe rieleggerlo presidente. Può anche darsi, ma in questo modo si corre il rischio di sdoganare una dittatura che ha trascinato l’Italia nel baratro, ben prima della guerra.

In Europa, l’Italia non fa soltanto paura per il suo debito pubblico, ma anche per queste curiose “rivisitazioni” della storia contemporanea.

P.S.: se proprio dobbiamo sdoganare, attendo il  monumento alla mordacchia messa a Giordano Bruno prima di bruciarlo vivo.

18 marzo 2019 Posted by | Guerra al terrore, Manate di erudizione, Questa poi... | , | 4 commenti

Indiana Jones

Dopo il cuoco e il poliziotto, l’altro mio mestiere preferito è quello dell’archeologo.

Scoprire e indagare misteri come questo, per esempio, non ha prezzo.

Che poi, per quanto ne so, l’archeologia è qualcosa di diverso rispetto alla storia. Non solo perché l’archeologo scava anche, ma è come se scavasse nella mente e nelle abitudini degli uomini del passato.

Insomma, una materia affascinante.

Per esempio, 500 anni fa 269 bambini furono uccisi in un rituale nell’antico regno Chimù, nell’attuale Perù. Avevano tra i 5 e i 14 anni. Accanto a loro furono sepolti cuccioli di lama e di alpaca. Molti dei bambini e degli animali avevano segni di tagli sullo sterno e sulle costole, operazione alla quale probabilmente è seguita l’asportazione del cuore.

E’ una scoperta recente questa, di meno di dieci anni fa.

Dell’impero Chimù si è parlato poco, anche perché non hanno lasciato testimonianze scritte.

Si pensa che alcuni fenomeni climatici abbiano spinto autorità e sacerdoti a sacrificare bambini per convincere gli dei a porre fine alle piogge. Al momento non si sa se i bambini appartenessero a famiglie ricche o povere; se i bambini furono offerti spontaneamente o se furono sottratti con la forza.

Dopo questa scoperta, altri bambini e lama sacrificati sono stati rinvenuti in zone limitrofe, per un totale di altri 132 bambini.

Narra una vecchia leggenda che dopo l’arrivo degli Inca (che misero fine all’impero Chimù) e dopo quello degli spagnoli (che distrussero l’impero Inca), il capo dei Chimù sottomessi accompagnò gli spagnoli nel luogo dove era sepolto un tesoro di valore inestimabile, ma mostrò loro il tesoro piccolo, e che invece il tesoro grande non sia stato ancora ritrovato.

Forse il tesoro grande erano proprio quei bambini uccisi e sepolti in tutta fretta…

Aquila Jones, potrei essermi chiamato.

P.S.: lo so che state tutte/i vedendo San Remo…

6 febbraio 2019 Posted by | Manate di erudizione | | 9 commenti

Viaggio senza ritorno

Ieri sera mi sono visto il dvd della trasmissione Viaggio senza ritorno andata in onda qualche mese fa sulla Rai e condotta da Alberto Angela.

Ho voluto comprare il dvd perché ritengo di dover “trasmettere” ai posteri alcuni inequivocabili messaggi.

Sempre lucide e toccanti le testimonianze di Liliana Segre e di Sami Modiano, che ancora si commuovono quando raccontano l’espulsione da scuola, il viaggio verso il campo di sterminio e gli ultimi ricordi dei loro cari.

Quando se ne saranno andati anche gli ultimi testimoni viventi di quei tragici avvenimenti, allora il compito di mantenere viva la memoria sarà ancora più difficile.

E lo sarà soprattutto di questi tempi bui, perché come scrisse magistralmente Primo Levi “È accaduto, quindi potrebbe accadere di nuovo…

Canzone del bambino nel vento

3 febbraio 2019 Posted by | Sani principi | | 11 commenti

M il figlio del secolo

Ottocento pagine non sono mica bruscolini (a leggerle, ma anche a scriverle, probabilmente).

Questo non è un romanzo storico, forse è una storia romanzata, dal 1919 fino agli inizi del 1925.

Il protagonista è lui, M come Mussolini.

Nel 1919, finita la guerra, una guerra nella quale politici ignavi hanno fatto massacrare centinaia di migliaia di italiani, l’Italia si ritrova piena di reduci delle più svariate tipologie: chi si è arruolato per spirito guerrafondaio, chi in guerra ci è stato trascinato senza sapere a cosa andava incontro, chi in guerra non ci voleva proprio andare.

Una miscela esplosiva, nella quale la storia si ripete: la sinistra si divide (socialisti moderati, radicali, unitari, comunisti) e il fascismo si sviluppa, finanziato all’inizio dagli agrari, fino a diventare regime dopo le elezioni del 1924, nelle quali mentre Mussolini tira dentro tutti nel listone fascista, la sinistra si presenta con 21 partiti separati).

Nel libro di Scurati il fondatore dei fasci di combattimento sembra quasi uno statista, l’unico del suo movimento che abbia una visione che va al di là delle manganellate agli avversari politici.

Lunga è la lista delle persone note che sostengono la violenza fascista, oppure che ne sottovalutano il pericolo: oltre al solito Gabriele D’Annunzio, Enzo Ferrari, Luigi Albertini (direttore del Corriere della Sera), Giovanni Giolitti (che il fascismo si illude di addomesticarlo), Papa Pio XI (che l’anno prima della sua elezione da arcivescovo di Milano ha benedetto i gagliardetti fascisti), Benedetto Croce (non smetterà di appoggiare il fascismo neanche dopo l’assassinio di Giacomo Matteotti), Enrico De Nicola (allora presidente della Camera); Pietro Nenni e Piero Gobetti (tra coloro che lo sottovalutano); Curzio Malaparte, Luigi Pirandello.

Gli italiani sono affascinati da quest’uomo, che li bastona in testa, li calpesta nei loro diritti e gli racconta un sacco di balle.

Ma in fondo è quello che gli italiani vogliono: sentirsi fare delle promesse irrealizzabili, perché con quelle realizzabili non c’è gusto.

Forse che gli italiani sono, in fondo in fondo, naturalmente fascisti, senza bisogno di sforzarsi tanto?

Probabile, molto probabile.

Un libro da leggere con un occhio; l’altro deve rimanere puntato sulla realtà di oggi.

Frederick

 

 

9 dicembre 2018 Posted by | Libri | , | 8 commenti

Ma dove stiamo andando?

Oggi pomeriggio ho visto la puntata di Ulisse andata in onda ieri sera sul rastrellamento degli ebrei romani il 16 ottobre 1943 e la loro deportazione nei campi di sterminio: Viaggio senza ritorno.

Alberto Angela ha saputo trasmettere il senso di orrore per quanto accaduto in Europa negli anni trenta e quaranta (per quanto lo possa fare una trasmissione televisiva). Le testimonianze sono state toccanti. All’inizio del suo racconto ha premesso che stiamo vivendo il più lungo periodo di pace europeo (a parte la guerra nei Balcani negli anni novanta): mai era successo e chissà mai se durerà ancora a lungo.

Non ho potuto non mettere in relazione questa storia con quanto sta accadendo oggi in Italia: l’intolleranza, il razzismo, l’odio stanno imperversando. Gli istinti più bassi e più bestiali dilagano ormai dappertutto, senza filtri.

I bambini stranieri vengono definiti “zecche come quelle dei cani” (Lodi) come se fosse un vanto.

Salvini non ha alcun interesse a espellere i migranti: se lo facesse veramente, contro chi dovrebbe rivolgere la rabbia della gente? Gli zingari, gli ebrei, i disabili, gli omosessuali, i comunisti… Chi gli ha lasciato aizzare i poveri contro i più poveri? Com’è possibile che spari cazzate dai palchi dei suoi comizi e la gente lo applaude (e lo vota): aboliamo la Fornero! abbassiamo le tasse! chissenefrega dell’Europa, prima gli italiani! Stasera l’ho sentito dire: me ne frego dell’Europa, della Banca d’Italia, della Corte dei Conti, dell’INPS, dell’ISTAT, io distruggerò pezzo per pezzo la Fornero! E la gente ad applaudire, come qui.

I 5stelle sono una manica di coglioni che, arrivati al potere, pensano di avere doti salvifiche (abbiamo eliminato la povertà). Nella loro ignoranza, sono pericolosi: non c’è niente di peggio di una persona che, pensando di sapere tutto, vuole rivoltare il mondo come un calzino. Dio ce ne scampi.

Il Partito Democratico  lo vedo… lo vedo… andostà il PD?

Sono preoccupato, non tanto per me, quanto per il mondo che si prepara per mia figlia e per tutti quelli che hanno la vita davanti (mica per tre quarti dietro come me). Ho fatto bene ad appendere in ufficio questa foto: almeno chi entra sa da che parte sto, ma temo che tutto questo non basti: non vorrei che fra qualche tempo qualcuno mi chiedesse “Ma tu dov’eri?

La situazione la vedo grigia, anzi nera.

Per fortuna a volte c’è anche qualche bella notizia…

Mina – Volevo Scriverti da Tanto

14 ottobre 2018 Posted by | Guerra al terrore, Storie ordinarie | , | 5 commenti

La grande storia della seconda guerra mondiale

Praticamente una storia giorno per giorno della seconda guerra mondiale.

L’autore è inglese e forse in alcune parti strizza un po’ l’occhio a Sir Winston Churchill, sarebbe interessante confrontarlo con altri libri simili (avendone il tempo).

Che dire della follia umana (e non è stata né la prima, né l’ultima) e delle sue vittime:

sei milioni di civili cinesi;

oltre venti milioni di sovietici;

quasi sette milioni di tedeschi;

oltre tre milioni di giapponesi;

sei milioni di polacchi (di cui tre milioni di ebrei polacchi);

tre milioni di ebrei in varie parti d’Europa;

un milione e mezzo di iugoslavi;

e poi quasi mezzo milione di inglesi, oltre quattrocentomila greci, trecentosessantamila americani, circa duecentomila olandesi, trentaseimila indiani, ventisettemila australiani…

Impossibile calcolare il numero definitivo dei morti e dei feriti.

Orbene, tutto questo è iniziato circa ottant’anni fa e sono poco più di settant’anni che l’Europa occidentale vive in pace, pur con tutti i problemi che abbiamo.

Questo dovremmo dire a quelli che in questi anni si sono spesi e si spendono tuttora per gettare fango sulle istituzioni europee: la pace è una conquista, non un dato di fatto.

Vi sono alcune cose che colpiscono in questa storia:

l’odio immenso, spropositato dei nazisti per gli ebrei. Nemmeno negli ultimi giorni di guerra, quando ormai era chiara la sconfitta della Germania, cessarono le loro torture e uccisioni;

un sentimento di odio profondo per le altre categorie di sub-umani: polacchi prima e sovietici poi, quelli che dovevano diventare gli schiavi del popolo tedesco della grande Germania;

la smisurata mania di grandezza di Hitler, che ha dichiarato guerra a ovest e a est, pensando di vincere contro inglesi, russi, americani e via dicendo;

la malvagità dei giapponesi che – spiace dirlo – la bomba atomica se la sono quasi guadagnata (ma ne hanno fatto le spese tanti, troppi innocenti);

l’assoluta inutilità degli italiani, dapprima come alleati della Germania e poi dopo l’8 settembre. Per fortuna che si sono rifatti un po’ con la Resistenza

Dodici anni di follia in Europa e non solo, iniziati con l’elezione di Hitler alla cancelleria nel 1933.

P.S.: all’elenco sopra delle vittime mancano gli zingari, gli unici ai quali nel dopoguerra non vennero riconosciuti risarcimenti, perché – disse qualcuno – sono stati sterminati non per odio razziale, ma perché elementi antisociali.

Eh… la differenza…

Mancano anche gli handicappati, gli omosessuali

I semi dell’odio sono ancora ben presenti in Europa. In alcuni casi stanno addirittura al governo.

Meditate gente, meditate…

Ti regalerò una rosa

 

21 luglio 2018 Posted by | Libri | , | 4 commenti

Bambini in fuga

Bambini in fuga” è la storia di un gruppo di bambini ebrei in fuga prima dalla Germania, poi dalla Jugoslavia e infine approdati in Italia, durante la seconda guerra mondiale, precisamente a Nonantola, in provincia di Modena, e della protezione che ricevettero dalla popolazione locale, che li salvò dai nazisti e dai fascisti. e permise loro di raggiungere la terra di Israele.

Ma è anche la storia di un loro persecutore, che aveva come obiettivo della propria vita quello di sterminare gli ebrei, meglio ancora se bambini. E non sto parlando di Hitler, di Mussolini o di altri gerarchi nazifascisti, bensì di Amin al-Husayni, palestinese, musulmano e Gran Mufti di Gerusalemme.

Mirella Serri, attenendosi ai documenti storici, riesce a raccontare questa storia inserendo degli episodi raccontati in forma romanzata e ha confezionato un bel libro, di quelli che quando li hai finiti ti viene voglia di approfondire la storia e di sapere che fine hanno fatto i suoi protagonisti.

Ma  andiamo con ordine, perché questa storia merita di essere raccontata, seppure per sommi capi.

Vi fu un periodo, nei primi anni trenta, in cui paesi come la Germania, l’Ungheria, la Bulgaria e la Romania pensavano di liberarsi degli ebrei spedendoli in Palestina, oppure nella colonia francese del Madagascar.

Ma a partire dal 1937 la Palestina divenne un territorio off-limits per gli ebrei: era comparso sulla scena un nuovo attore, il Gran Mufti di Gerusalemme Amin al-Husayni, deciso a bloccare l’emigrazione degli ebrei in Palestina e a dimostrare la loro incompatibilità con qualsiasi altro popolo.

Al-Husayni era quello che oggi verrebbe definito un islamista radicale, uno di quelli che invitava gli arabi a sgozzare gli ebrei, che fece assassinare gli arabi moderati che si opponevano alle sue folli teorie, amico dei nazisti e dei fascisti, salito a quell’incarico anche per colpa dell’ignavia degli occidentali. Riuscì a ottenere il blocco delle emigrazioni ebraiche in Palestina, che dovettero ripiegare quindi sull’espatrio clandestino.

Un gruppo di 43 bambini e ragazzi ebrei nel 1941 venne fatto uscire da Berlino e dirottato in Jugoslavia, in attesa che potesse proseguire verso la Palestina seguendo la rotta balcanica via terra, in quanto i porti erano controllati dai nazifascisti. Qui ebbero la fortuna di incappare nel diplomatico italiano Luca Pietromarchi, che resistette alle insistenze dei tedeschi e riuscì a farli entrare nella Slovenia italiana.

Intanto il Gran Mufti continuava la sua opera, tesa a convincere Hitler e Mussolini (come se ce ne fosse bisogno) che gli ebrei andavano sterminati, soprattutto i bambini; la sua ambizione era quella di creare un unico Stato arabo sotto la sua giurisdizione e sotto la legge islamica, che comprendesse l’Iraq, la Palestina, la Transgiordania, la Siria e il Libano.

Intanto i tedeschi avevano avviato la germanizzazione della Slovenia, con tanto di fucilazioni e di rastrellamenti di ostaggi, destinazione lager. La Croazia era in mano agli ustascia, decisi a liberarsi di serbi, zingari ed ebrei, cioè di oltre il 30% della popolazione croata. In questa situazione, l’esercito italiano era poco propenso a seguire le regole dei tedeschi e a consegnare loro gli ebrei di Croazia. E quando la tenaglia nazifascista si strinse su di loro, i 43 ragazzi erano già in Italia, dopo un tormentato viaggio in treno nel quale soldati e carabinieri italiani “chiusero un occhio”.

Arrivati a Nonantola, i giovani ebrei (molti dei quali orfani) fraternizzarono subito con la popolazione locale che, così come per i carabinieri e i militari, non si spiegavano le ragioni dell’odio nei loro confronti: “Ma perché i tedeschi vi cacciano via?” era la domanda ricorrente, formulata in assoluta buona fede.

Intanto il fetentone del Gran Mufti aveva deciso di trasferirsi a Berlino, perché i paesi arabi non erano più tanto sicuri e la guerra non aveva un esito così favorevole come sperato. Ma il fetentone era contento ugualmente, perché finalmente i tedeschi avevano deciso di aprire i loro forni anche ai bambini e così un milione e mezzo di bambini e ragazzi finì stritolato nella macchina dello sterminio: più di un milione erano ebrei, gli altri erano rom, polacchi e sovietici, nonché tedeschi con qualche handicap, prelevati negli istituti di ricovero.

Intanto nell’agosto del 1943, sempre grazie a Pietromarchi, arriva l’agognato permesso per i ragazzi di Nonantola di raggiungere la Turchia, oppure in subordine la Svizzera. Ma nel frattempo c’è stata la destituzione di Mussolini il 25 luglio e poi arriva l’8 settembre. E dopo l’8 settembre arrivano i nazisti e i fascisti di Salò. E allora la popolazione di Nonartola si fa in quattro per proteggere i ragazzi, nascondendoli in un seminario, procurando loro documenti falsi affinché potessero raggiungere la Svizzera.

Il libro si chiude con un ricordo delle persone che salvarono la vita a questi ragazzi ebrei.

Il reverendo Don Beccari e il dottor Moreali (i primi italiani ai quali fu dedicato un albero nel “Viale dei Giusti ” a Gerusalemme), i preti e le suore del seminario di Nonantola, gli impiegati del Comune,  i militari e i carabinieri e via dicendo. Alcune pagine del libro non possono non suscitare commozione.

Ma una domanda sorge spontanea: il fetentone del Gran Mufti che fine ha fatto?

Pure lui aveva cercato di entrare in Svizzera, ma senza riuscirci. Approdò quindi in Francia e poi in Austria, braccato dagli anglo-americani e dai russi. Scartata l’ipotesi di rifugiarsi in Arabia, tornò in Francia. Nel corso del processo di Norimberga vennero fuori le sue colpe, ma i francesi e gli inglesi a parole dicevano di volerlo processare, ma in realtà avevano paura di inimicarsi le popolazioni musulmane del medio oriente e dell’India e lo lasciarono espatriare in Egitto, dove venne accolto come un eroe. E fu proprio in Egitto che al-Husayni incontrò un suo lontano e giovane parente, il diciassettenne Yasser Arafat. Il suo obiettivo rimase quello della “guerra per generazioni” nei confronti degli ebrei, anche se in quel periodo i giovani musulmani erano piuttosto freddi nei confronti della sua predicazione. Morì nel 1974 sepolto a Beirut, essendogli stata rifiutata la sepoltura a Gerusalemme.

Il resto, è storia di oggi…

Il libro, come si sarà capito, lo consiglio.

4 novembre 2017 Posted by | Storie ordinarie | , | 9 commenti