Rapito
Ho approfittato delle ultime proiezioni pomeridiane per vedere questo film di Marco Bellocchio, ispirato a una storia vera.
La storia è quella di un bambino ebreo rapito alla sua famiglia da parte della Chiesa cattolica/Stato vaticano, ma è anche una critica feroce ai metodi di persuasione, di conversione da parte del potere nei confronti delle persone, soprattutto quelle più deboli.
E la Chiesa cattolica è stata sicuramente uno di questi poteri (e lo è tuttora).
Consiglio di vederlo, perché è un film che fa riflettere e non è vero che è un horror, come scrive qualcuno.
E l’interpretazione del piccolo protagonista, Enea Sala, secondo me è strepitosa.
Il dissenso
Succede che una ministra di questo governo (che piaccia o no è stato votato da un sacco di gente – purtroppo – anche per merito delle opposizioni, che se sono in dieci si dividono in dodici partiti diversi) venga invitata al Salone del libro di Torino a parlare – guarda un po’ – del suo ultimo libro.
Succede che il libro in questione sia questo, una storia della sua storia, della sua famiglia, una cosa abbastanza innocua, che se non fosse stato per tutto questo casino io non avrei nemmeno conosciuto.
Succede però che la suddetta ministra di questo governo (che piaccia o no è stato votato da un sacco di gente – purtroppo – anche per merito delle opposizioni, che se sono in dieci si dividono in dodici partiti diversi) sia nota per le sue posizioni, se così possiamo dire, un po’ conservatrici in materia di diritti civili.
Fin qui, possiamo dire, niente di strano.
Succede però che all’arena dove la suddetta ministra di questo governo (che piaccia o no è stato votato da un sacco di gente – purtroppo – anche per merito delle opposizioni, che se sono in dieci si dividono in dodici partiti diversi) si presenti un gruppo di esagitate che le impediscono di parlare.
E qui qualcuno potrebbe iniziare a sentire un leggero prurito al naso, che diventa uno starnuto vero e proprio (preludio di allergia alla presenza di stupidità) quando si apprende che le indomite contestatrici, avendo la possibilità di salire sul palco (una di loro, mica tutte) per provare a interloquire con la suddetta ministra di questo governo (che piaccia o no è stato votato da un sacco di gente – purtroppo – anche per merito delle opposizioni, che se sono in dieci si dividono in dodici partiti diversi) che fa? Legge un comunicato! Cioè, praticamente come le Brigate Rosse!
Se poi invece di prendere un antistaminico si volesse rileggere le dichiarazioni della segretaria del PD, che sostanzialmente ha giustificato la contestazione stessa, definendola “dissenso” (anche le camicie nere nei primi anni venti dissentivano dai socialisti e dai comunisti, infatti li prendevano a sprangate), allora viene da chiedersi: ma questa qui è la mia sinistra?
No, evidentemente c’è qualcuno di troppo: o io o loro.
P.S.: se qualcuno non l’avesse ben chiaro, questo governo che piaccia o no è stato votato da un sacco di gente – purtroppo – anche per merito delle opposizioni, che se sono in dieci si dividono in dodici partiti diversi. Quindi sarebbe meglio cercare di convincere gli elettori del centro destra (soprattutto la povera gente illusa che con questi qui possa migliorare la loro condizione di vita) a votare da un’altra parte (ad avercela, però…).
I sette mariti di Evelyn Hugo
Probabilmente, se non me lo avessero consigliato su questo blog, questo libro non lo avrei letto.
Invece l’ho fatto e ne sono contento, perché è una bella storia, scritta senza tanti fronzoli ma in maniera chiara e lineare.
C’è anche il colpo di scena finale: a un certo punto la voce narrante ci fa sapere che accadrà qualcosa, ma fino alle ultime pagine non si capisce cosa mai possa accadere di così eclatante (e non sarò certo io a dirvelo).
Non fate come me: non cercate Evelyn Hugo tra le attrici del dopoguerra, è un’invenzione. 😉
Evelyn Hugo è una ex attrice quasi ottantenne che chiama una semi sconosciuta giornalista per raccontarle la sua vita e farne un best seller, perché è stata una star, vincitrice di un oscar, bellissima e sensuale, con ben sette matrimoni alle spalle e… (non lo dirò, tranquilli…).
Quando si legge un libro, però, non si legge solo una storia: a volte si legge anche la propria storia, o per lo meno dei suoi pezzi. E’ anche per questo che i giudizi possono essere molto diversi tra di loro.
E così questa storia ci/mi pone davanti dubbi e interrogativi.
Fino a quando possiamo mostrarci al mondo in una immagine diversa da quello che siamo veramente? E a cosa siamo disposti a rinunciare per svelare agli altri la nostra vera natura?
Cos’è più importante seguire: l’amore per un’altra persona o quello per la famiglia, se le due cose non coincidono? Mettiamo al primo posto la nostra felicità oppure quella degli altri, anche se poi noi proprio felici non lo siamo?
E poi quando c’è di mezzo anche una bella storia d’amore…
La seconda metà del libro l’ho divorata, non sono riuscito a staccarmene fino alla fine.
Consigliato.
Piove…
Diverse notizie ci sarebbero da commentare, ma una su tutte da giorni sta tenendo banco: l’alluvione in Emilia Romagna.
Io vivo in una zona nella quale si è sempre detto che stavamo al sicuro: niente terremoti, niente inondazioni. Per questo nella nostra provincia avevano concentrato diverse centrali termoelettriche (e pure quella nucleare di Caorso).
Quando il Po esonda le case e le frazioni a ridosso dell’argine si allagano, ma ormai è quasi come se gli abitanti fossero abituati.
Nel mio paese invece gli allagamenti sono sempre stati causati più che altro da problemi delle fognature, progressivamente risolti nel corso degli anni.
Terremoti poi… qualche scossetta ogni tanto, ma niente di preoccupante.
Quindi quando osservo le immagini in tv di quella povera gente che ha perso gran parte delle proprie cose (e in qualche caso anche qualche proprio caro) mi sovviene una grande pena e, al di là delle offerte alle raccolte fondi, sono anche contento di avere da tempo prenotato le vacanze estive in Romagna: ci sono tante persone che meritano di essere aiutate (e anche alcune che non se lo meriterebbero proprio).
Credo che le conseguenze dei cambiamenti climatici, unite alla mala gestione del territorio, siano catastrofiche per il mondo intero.
Le migrazioni di oggi sono niente rispetto a quelle climatiche che ci aspettano nei prossimi decenni.
Soprattutto se continuiamo a far finta di niente…
Allora fate voi…
Sul lavoro credo di essere una persona corretta (per lo meno i riscontri ricevuti in tanti anni sono sempre andati in questa direzione).
Spesso aiuto gli altri, fino ad arrivare a svolgere insieme ai colleghi lavori che sono di loro competenza, affiancandoli, sempre nell’ottica di renderli autonomi.
A volte va anche a finire che lascio indietro lavori miei per aiutare gli altri…
Quindi, se sono responsabile di una certa attività, esigo che venga svolta come concordato. Sono disponibile a prendere in considerazione tutte le varianti del caso, ma poi alla fine bisogna fare quello che si è concordato.
Se gli altri operatori non seguono le mie indicazioni, allora scatta la reazione del “allora fate voi…“
Qualcuno dice che dovrei “impormi”, ma le imposizioni hanno le gambe corte: le persone si devono convincere di quello che fanno e delle modalità con cui devono farlo, non perché qualcun altro glielo impone.
Ciò significa che i soggetti “refrattari” a seguire le mie indicazioni devono assumersi pienamente la responsabilità di quell’attività.
In genere chiedono “ma perché non collabori più?” e io rispondo “non è che non collaboro più, è che se vuoi fare come dici tu, te ne assumi anche le responsabilità“.
In genere non durano molto…
P.S.: sì, a volte sono un po’ bastardo… 😎
Ciao M.
Pochi minuti fa sono venuto a conoscenza della morte di una mia carissima amica.
Ho cercato in rete e ho visto che se s’è andata un paio di mesi fa, improvvisamente.
Ci eravamo conosciuti una quindicina di anni fa.
La ricordo come una persona buona.
Abbiamo vissuto momenti belli insieme, alcuni li ricorderò per sempre.
Poi ci siamo allontanati.
Non sono mancati momenti di incomprensione reciproca.
Alla fine siamo rimasti agli auguri natalizi e al buon compleanno.
Mi dispiace immensamente.
Spero abbia ritrovato le persone care alle quali teneva tanto.
Ciao M., amica mia.
La rabbia e l’orgoglio
Mi ero promesso di leggerlo (rileggerlo) e così approfittando della giornata di domenica, a rischio pioggia e quindi senza uscita in bici, ne ho approfittato e l’ho letto (riletto) tutto.
Che dire?
Le tesi della Fallaci erano semplici: i musulmani ci hanno dichiarato guerra, ci stanno invadendo, non possiamo convivere con una religione violenta, che si pone al di sopra della legge civile, che diventa lei stessa legge e che tratta la donna peggio di una cosa.
Non è che avesse tutti i torti.
E’ che – come dire – si è espressa un po’ bruscamente, ecco.
Non sono un esperto di religioni e soprattutto di quella musulmana, però so che hanno portato ben poche cose buone nella storia dell’uomo. Soprattutto gli integralisti, che almeno da noi non lapidano più le donne.
Comunque leggerò (rileggerò) pure gli interventi successivi e le sue repliche, la cosa mi ha intrippato.
Il quarto stadio
Mi ha colpito la notizia di Michela Murgia colpita da un cancro a uno stadio già così avanzato che parla di mesi di vita.
Mi ha colpito come mi colpisce qualsiasi notizia simile, che riguardi una persona conosciuta o meno.
Mi colpisce perché ci sono passato anch’io e oggi, a distanza di oltre sette anni dal primo intervento chirurgico, sono considerato un “guarito”, ma io preferisco chiamarmi un “lungosopravvivente“.
Io, fortunatamente, non ho avuto a che fare con metastasi.
A dire la verità non mi hanno mai neanche detto se i due interventi hanno riguardato due tumori diversi o il secondo era una recidiva del primo.
Addirittura non mi hanno mai neanche saputo dire a quale stadio era/erano.
Insomma, quasi quasi potrebbe anche essere stato tutto un sogno, anzi un incubo, se non fosse che i segni della malattia li porto ancora addosso e alcuni non spariranno più.
Ma soprattutto il cancro ti entra nella testa e lì ci rimane. Le terapie psicologiche ti aiutano a disinnescare i ricordi più dolorosi, ma non è che spariscono: lì stanno e lì restano. Per tutta la vita. Per tutta quella che ti rimane da vivere.
E per finire questa filippica, dico che condivido in pieno il fastidio nei confronti della retorica del “guerriero”: io non mi sono mai sentito un guerriero, semmai un resistente: ho resistito allo sconforto, alla rabbia, alle terapie, al dolore. Ma non ho fatto alcuna guerra.
Lettera a un bambino mai nato
La lettura (o rilettura? Sono passati così tanti anni…) di questo libro mi ha fatto tornare indietro di quasi cinquant’anni.
Correva l’anno 1975 e me la ricordo l’uscita di questo libro, anche se in quell’anno sono successe tante altre cose.
Finisce la guerra in Vietnam, con la fuga degli americani, mentre nella vicina Cambogia prendono il potere gli Khmer rossi.
Viene firmato l’accordo sul punto unico di scala mobile, quella che proteggeva i salari dall’inflazione e che dieci anni dopo verrà abrogato da un referendum dove tanti lavoratori se lo taglieranno via per fare un dispetto alla moglie.
Ascoltavamo i Pink Floyd e sui giornali imperversava lo scandalo petroli, che coinvolse i partiti di governo dell’epoca (democristiani, socialisti, socialdemocratici e repubblicani).
Si torna a parlare dell’omicidio Fenaroli-Ghiani, con la morte del primo.
E poi c’era Alto gradimento, con dei personaggi spettacolari (Max Vinella, Patroclo, Scarpantibus per citarne solo alcuni).
E poi, verso la fine dell’anno, l’assassinio di Pier Paolo Pasolini, uno dei più grandi… dei più grandi…
In mezzo a tutto questo marasma, esce questo libro di Oriana Fallaci, che ebbe un successo straordinario e che letto (o riletto?) oggi mi appare di inaspettata attualità.
Una donna che rimane incinta e che parla con il suo bambino/embrione/cellula/ocomevogliamochiamarlo e gli/le dice cha la sua vita sarà dura, soprattutto se sarà una donna, perché “il peccato non nacque il giorno in cui Eva colse la mela: quel giorno nacque una splendida virtù chiamata disubbidienza” (immagino la faccia dei miei compagni di classe ciellini a leggere una frase del genere).
“In qualsiasi sistema tu viva, non puoi ribellarti alla legge che a vincere è sempre il più forte, il più prepotente, il meno generoso. Tanto meno puoi ribellarti alla legge che per mangiare ci vuole il denaro, per dormire ci vuole il denaro, per camminare dentro a un paio di scarpe ci vuole il denaro, per riscaldarsi d’inverno ci vuole il denaro, che per avere il denaro bisogna lavorare. Ti racconteranno un mucchio di storie sulla necessità del lavoro, la gioia del lavoro, la dignità del lavoro. Non ci credere, mai. Si tratta di un’altra menzogna inventata per la convenienza di chi organizzò questo mondo. Il lavoro è un ricatto che rimane tale anche quando ti piace. Lavori sempre per qualcuno, mai per te stesso. Lavori sempre con fatica, mai con gioia. E mai nel momento in cui ne avresti voglia.“
Per non parlare poi delle riflessioni sulla maternità, sul rapporto uomo/donna, sulla ribellione alla maternità che soffoca la vita della donna (non dimentichiamo che il 1975 è anche l’anno dell’approvazione della riforma del diritto di famiglia).
Ho sempre avuto l’impressione che Oriana Fallaci fosse una donna/giornalista/scrittrice senza peli sulla lingua, che diceva e scriveva quello che pensava e che infatti a un certo punto se n’è andata dall’Italia.
Una piacevole lettura (o rilettura?).
Aggiunta del 6/5/2023: non mi sono dimenticato le ultime prese di posizione della Fallaci, dopo l’attentato alle Torri gemelle dell’11 settembre e le immancabili polemiche seguite. All’epoca lessi La rabbia e l’orgoglio, forse lo rileggerò, a distanza di oltre vent’anni. Non ritengo che le sue prese di posizione siano state il frutto di un’anziana in preda a una malattia incurabile, come qualcuno disse all’epoca. Credo anzi che fossero il naturale sviluppo delle sue opinioni e della volontà di accendere un faro, una discussione su un problema presente allora e anche oggi: la convivenza nella stessa società di religioni diverse, alcune delle quali, grazie anche ad alcuni loro rappresentanti, tendono a dare priorità alle proprie regole rispetto a quelle del diritto del paese in cui vivono.
La vita e la storia
Ho sempre visto Valerio Massimo Manfredi come un romanziere più che un archeologo, ma questo libro mi ha fatto cambiare idea.
Persona sanguigna (è emiliano), grande viaggiatore, romanziere e sceneggiatore (aveva scritto la sceneggiatura de “Le memorie di Adriano” per un film che poi non è stato realizzato), attratto da Alessandro il macedone e da Ulisse (Odisseo).
Alessandro Magno è stato il creatore di uno dei più grandi imperi della storia, che ha spaziato da Occidente a Oriente all’Africa. Era arrivato fino in Pakistan e Afghanistan; aveva sconfitto i persiani, facendo fuggire il loro re Dario come un cagasotto; aveva sottomesso tutta la Grecia, che vedeva i macedoni come dei miserabili morti di fame; si era fatto incoronare faraone d’Egitto. Insomma, uno che non ha avuto paura della cosiddetta sostituzione etnica.
L’altro amore di Manfredi è Odisseo. Se l’Iliade è la storia della guerra e del dolore, l’Odissea è la storia del viaggio e dell’avventura. Un re di una piccola isola greca, con una moglie giovane e incinta deve andare in guerra con una coalizione di greci contro la città di Troia, in quella che probabilmente è stata una vera e propria guerra mondiale: anche dalla parte dei troiani c’era una coalizione di popoli. Il re della piccola isola è l’autore del colpo di teatro che fa vincere la guerra, ma tornare a casa non sarà così facile, E una volta tornato, la sua casa è occupata da un esercito di giovani arroganti che vogliono prendere il suo posto. Avventura, curiosità, intelligenza sono gli ingredienti di questa storia, madre di tutte le storie moderne.
Un libro ricco di spunti, di curiosità, compreso l’editore Aliberti, che termina il libro con questo messaggio: “Questa parte di albero è diventata libro sotto i moderni torchi di Puntoweb nel mese di marzo 2023. Possa un giorno, dopo aver compiuto il suo ciclo presso gli uomini desiderosi di conoscenza, ritornare alla terra e diventare nuovo albero“.