No problem
Una delle tante distinzioni che si possono fare nel genere umano è tra chi crea problemi e chi risolve problemi.
Ovvio che una persona normale dovrebbe preferire appartenere alla seconda categoria, piuttosto che alla prima.
Purtroppo pare che la gente sia più affezionata alla prima, dando così lavoro alla seconda.
Ma c’è una terza categoria che è ancora migliore (secondo me): è quella di chi solleva problemi ma indica anche la via per la loro soluzione.
Sollevare problemi non significa crearli, significa non mettere la testa sotto la sabbia e riconoscere la loro esistenza. Contemporaneamente, però, occorre anche indicare una o più soluzioni.
Questo significa essere positivi e propositivi.
P.S.: qualche anno fa avevo comprato un libro sul “problem solving“, ma non so più dove l’ho messo. Praticamente il primo problema da risolvere è ritrovarlo…
La gioia avvenire
Questo è uno di quei libri che veramente mi chiedo: ma come fanno gli editori a pubblicarlo?
Qual è il meccanismo editoriale che spinge Mondadori a pubblicare una storia scritta in questo modo?
La chiamano “lingua scabra e spigolosa”: sembra un insieme di appunti nei quali a volte (spesso) si perde il filo e a un certo punto ho anche rinunciato a cercare di riprenderlo.
Mi spiace perché l’autrice è delle mie parti.
E pensare che è pure stata finalista al Premio Calvino…
P.S.: fortunatamente l’ho preso in prestito in biblioteca.
L’esorcista (2)
L’ho visto.
Non ne valeva la pena aspettare quasi cinquant’anni
Noioso in certe parti; ridicolo in altre, quasi un cartone animato.
Buonanotte.
Storia di Josey
Passato in tv qualche giorno fa, non capita spesso che impegni due ore della mia post cena davanti alla tv, senza che mi addormenti.
Un’intensa interpretazione di Charlize Theron, buono anche il resto del cast, anche se qualcuno ha obiettato un carico di melassa alla fine, ma non tutte le storie devono per forza finire male (sarebbe interessante indagare la psicologia di quelli che detestano i lieto fine e hanno un orgasmi quando le cose finiscono male).
La vecchia (vecchia?) America reazionaria, sessista, ignorante che se la prende con un gruppetto di donne che lavorano in miniera, perché qualche giudice (comunista, ovviamente) ha deciso che anche le donne devono lavorare.
Ma la persecuzione nei confronti di queste lavoratrici è durissima, finché una di loro non decide di reagire e, malgrado tutti i problemi personali che ha e che ha avuto, affronta un processo contro la proprietà della miniera e alla fine la vince, riuscendo a smuovere le coscienze di altri lavoratori (non solo donne).
Consigliato.
L’esorcista
Correva l’anno 1973 (o 1974, non ricordo bene) e io tendevo a divorare libri.
Un’amica di famiglia me ne prestò uno appena uscito: l’esorcista.
Ovviamente divorai pure quello e ne rimasi sconvolto.
Dal libro ricavarono poi un film che io ovviamente no vidi mei e per quasi cinquant’anni ho evitato accuratamente di vederlo: tutte le volte che passava in tv la sera non accendevo nemmeno l’apparecchio, per evitare di sbirciarne anche solo qualche scena.
In realtà il libro è forse ancora peggio del film, perché l’immaginazione corre.
Più di una volta mi sono chiesto: ma di cosa hai paura? Del diavolo?
No, peggio.
La mia paura era che la mente uscisse sconvolta, di essere assalito dalle paure.
Orbene, per farla breve, venerdì prossimo il film passa in tv.
Qualche giorno fa mi sono trovato improvvisamente di fronte al trailer e, invece di girare canale, che ho fatto? L’ho guardato e mi è sembrato un enorme cartone animato. Per cui mi sono detto: mi devo liberare da questa cacarella.
Che dite? Lo guardo?
Non è possibile…
Che poi i nostri politici dicono che bisogna bloccare le partenze.
Come se bloccare le partenze servisse per fare vivere questi disgraziati.
Lezioni di sogni
Mi è sempre piaciuto Paolo Crepet: parla chiaro e su molti concetti sono d’accordo, come quelli che esprime in questo suo ultimo libro.
A cominciare dall’importanza dell’educazione, che è (o dovrebbe essere) una missione, una specie di periscopio al contrario: invece di investigare la superficie, dovrebbe esplorare il mistero interiore. E l’educazione porta con sé il rispetto e la reciprocità, che valgono non solo per i figli, ma anche per i genitori e gli insegnanti.
“Sarebbe fondamentale – scrive – nell’educazione quotidiana, insegnare l’umiltà come arte dell’attesa, del saper aspettare una parola, un incoraggiamento, una critica“.
Insiste sulla speranza quale incentivo per fare figli, non sulle mancette governative.
Che i genitori sappiano svegliare la passione nei loro figli.
Un vecchio adagio dice: “Se vuoi arrivare presto, vai piano“, perché il senso della vita è nel sapore di quello che si sta facendo.
Tanti concetti che sembrano in disuso e infatti la nostra società sta sprofondando sempre di più.
Il diritto di contare
Ieri sera ho visto questo film (la foto è quella del libro da cui è tratto).
E’ un film del 2016, avevo visto spesso il trailer e ieri sera Youtube me l’ha proposto (dovrei preoccuparmi?) e così l’ho noleggiato (ma il cinema è tutta un’altra cosa eh…).
Tre donne di colore nella profonda America degli anni sessanta, impregnata di razzismo, lavorano per la Nasa, nell’ambito degli sforzi per superare i russi nella conquista dello spazio.
Brave le tre protagoniste (Taraji P. Henson, Octavia Spencer e Janelle Monáe) e anche Kevin Costner, nel ruolo di non piacione.
Le tre donne lottano per farsi valere, per contare, per dimostrare che non sono meno brave di altri che hanno la pelle bianca, hanno soltanto meno opportunità, meno possibilità.
E alla fine ottengono il meritato riconoscimento lavorativo, che parte anche dalle piccole cose, che però sono quelle indicative del rispetto che si guadagnano: essere chiamate con il proprio titolo di studio come tutti, non soltanto con il proprio nome, essere destinatari di una piccola gentilezza (il caffè finale offerto a una delle tre dal capo).
C’è chi per arrivare a volte deve compiere sforzi maggiori di altri, perché parte svantaggiato per una serie di motivi.
Allora invece di piangersi addosso o di sacramentare contro l’ignoto (come fa il marito di una delle tre), bisogna mettersi le “gambe in spalla” e darsi da fare. Il successo non è scontato, non sempre c’è il lieto fine, ma comunque c’è la consapevolezza di avere lottato e di essere fieri del proprio comportamento.
Consigliato.
Non so gestire…
… le prese per i fondelli (e dico fondelli perché sono una personcina educata).
Lo ammetto, è un mio difetto.
Cioè, se io ti chiedo “Di che colore è questo bicchiere?” e tu mi rispondi “Questo è un coltello molto affilato” a me subito mi girano i cosiddetti.
Ma sopporto e cerco di chiarire quello che intendevo, ma se tu insisti “Guarda che con questo coltello ci taglio sempre la carne!” allora è chiaro, incontrovertibile, che mi stai prendendo per il culo (mi è passata l’educazione).
Poi mi capita sempre più spesso che la gente faccia il gioco delle tre carte, cioè senza tanto girarci intorno, bara, truffa, imbroglia con le parole: gira intorno alle cose, fa retromarcia, poi fa un’inversione a u, sempre per non fare capire all’altro quello di cui si parla.
Ci vorrebbe un antropologo per comprendere la ragione di questi comportamenti (o forse basterebbe uno psichiatra).