Mi ritorni in mente
Pur non amando particolarmente Lucio Battisti (in alcuni casi l’ho trovato un po’ troppo melenso), c’è una canzone della mia giovinezza che mi ha colpito particolarmente, sia quando è uscita (nel lontano 1969), sia oggi.
La canzone è Mi ritorni in mente e mi piace la musica, il testo e soprattutto il cambio continuo di ritmo.
Ma questa canzone mi ha sempre colpito per un altro motivo, per quella strofa che fa:
Ma c’è qualcosa che non scordo
Quella sera, ballavi insieme a me e ti stringevi a me
All’improvviso mi hai chiesto lui chi è
Un sorriso e ho visto la mia fine sul tuo viso
Il nostro amor dissolversi nel vento
Ricordo, sono morto in un momento
Ecco, io mi sono sempre impersonato nell’uomo, ma in quello che balla con la sua compagna e tutto d’un tratto lei gli chiede: “Ma chi è quello lì?”
E allora lui capisce all’improvviso che la cosa sta mettendosi male e quindi tenta un’ultima disperata reazione, le fa una descrizione di “quello lì” che peggio di così non si può: uno stronzo, un fallito, un truffatore, un mascalzone, un farabutto, un fetente, un sadico, un miserabile, uno che mi deve ancora restituire 20 euro che gli ho prestato cinque anni fa, un leghista…
Ma non c’è niente da fare.
E’ risaputo che alle donne piacciono i tipacci…
Poi, tutto a un tratto, uno si ritrova dall’altra parte della “barricata”.
Quella carezza della sera
E’ un paradigma di quello che manca.
“Non so più il sapore che ha
quella speranza che sentivo nascere in me.
Non so più se mi manca di più
quella carezza della sera
o quella voglia di avventura,
voglia di andare via di là”
(o di qua…)
Ricordi musicali
Questa canzone, uscita nel 1977, scatena in me ricordi incancellabili della mia giovinezza.
I ricordi del liceo, dei cineforum, delle discussioni animate con gli amici, delle ragazze (che non ci filavano).
Della mia casa con il balcone accanto a quello di Anna, dei miei genitori.
Eh… la vecchiaia…
P.S.: ieri era la giornata dell’Alzheimer. Sarà un caso?
Nato due volte?
Li chiamano lungoviventi o lungosopravviventi. O ancora, nati due volte.
In italia, nel 2006, le persone che vivevano dopo una diagnosi di tumore erano oltre 2.200.000 e rappresentavano oltre il 4% della popolazione residente. Si stima che nel 2013 abbiano superato i due milioni e mezzo.
L’incidenza delle malattie tumorali aumenta, vengono scoperte prima e i trattamenti sono più efficaci.
Si considerano guariti i pazienti che raggiungono un’attesa di vita simile a quella delle persone non ammalate, il che avviene in media tra 10 e 15 anni dalla diagnosi. Circa 700.000 italiani, si possono definire guariti.
Si considerano guariti perché da molti anni non sono più evidenti i segni della malattia, ovvero sono in una “condizione cronica”, cioè convivono con il male.
Dal momento della diagnosi e per il resto della vita, un individuo con diagnosi di cancro è un sopravvissuto.
La vita di questi lungosopravviventi non è facile: lo stress spesso permane fino a oltre 10 anni dal trattamento. Vivono come se sulla loro testa pendesse costantemente una spada di Damocle. Il tumore cambia la vita; rende consapevoli del limite.
L’uscita dalla fase acuta della malattia porta i pazienti verso una situazione paradossale: da un certo punto di vista sono guariti e malati allo stesso tempo. Devono confrontarsi con una “nuova normalità” e vi è un rischio di scissione mentale tra chi ero prima della malattia e chi sarò dopo.
Di fronte alle numerose problematiche che influiscono sulla qualità di vita di queste persone, occorre lasciare entrare nella mente una qualsiasi idea di futuro. Per fare questo, è necessario accrescere lo stato di benessere, inteso non soltanto da un punto di vista medico, ma anche sociale, organico e psicologico.
Alimentazione corretta ed esercizio fisico sono due aspetti fondamentali per migliorare lo stile di vita, di tutti, ma soprattutto dei sopravvissuti.
Superstiti secondari vengono definiti i familiari del paziente, perché il cancro devasta anche la vita familiare.
Ho letto con interesse questo libretto, inframmezzato da una racconto grafico (graphic novel, come dicono i poliglotti) di Sergio Staino, ma, come dire, non mi ci sono riconosciuto completamente.
Riconosco lo stress e il cosiddetto distress, la paura di recidive, la diversa percezione di me stesso, ma al di là di questo vi è un altro aspetto peculiare della mia situazione.
E’ come se io mi sentissi su un piano diverso rispetto al resto della gente (parlo della cosiddetta gente “sana”, ovviamente). Non mi sento né migliore né peggiore degli altri: mi sento diverso.
E’ come se nella mia mente si fosse aperta una porta verso un’altra dimensione, forse verso quel limite che alle persone normali appare di là da venire e che invece a noi appare dietro l’angolo. Anzi, non ci appare dietro l’angolo, ma abbiamo forti sospetti che stia proprio lì, dietro quell’angolo che ci attende fra pochi passi: tireremo dritto oppure svolteremo verso l’ignoto?
Il cancro non rende né migliori né peggiori di altri; sono gli altri che svelano la loro natura. E spesso è una natura poco piacevole.
Gipsy
Fleetwood Mac – The Dance -1997 – Gypsy
So I’m back…to the velvet underground
Back to the floor….that I love
To a room with some lace and paper flowers
Back to the gipsy…that I was…to the gipsy…that I was…
And so it all comes down to you
Well you know that it does, well….
Lightning strikes, maybe once, maybe twice
Oh…and it lights up the night
And you see your gipsy….
You see your gipsy…..
To the gipsy…that remains….
Faces freedom..with a little fear….
I have no fear….I have only love
And if I was a child…and the child was enough…..
Enough for me to love….
Enough to love…..
She is dancing…away from you now
She was just a wish…she was just a wish
And her memory is all that is left for you now
You see your gipsy…..
You see your gipsy…..
Lightning strikes…maybe once…maybe twice
(And it all comes down to you….)
Well it all comes down to you
(Lightning strikes…maybe once…maybe twice)
Oh…….
And I still see you bright eyes…I’ve always loved you…
And it all comes down to you
Comunque…
Pur apprezzando Silvia Mezzanotte, c’è da dire che le tonalità di Laura Valente sono migliori.
1° gennaio 2023
Secondo la penultima legge sulle pensioni, questa sarebbe stata la prima data utile nella quale avrei potuto andare in pensione, con il precedente sistema delle “quote“.
Considerato che la cosiddetta scienza medica ci dice che oggi si è vecchi oltre i settant’anni, avrei potuto sperare in almeno una decina d’anni prima del rincoglionimento, da trascorrere beatamente tra letture, giardinaggio, cucina, qualche viaggio e forse anche un po’ di scrittura.
La cosiddetta “legge Fornero” ha allungato la mia età lavorativa di circa cinque anni (se tutto va bene, perché a questo punto di certezze ce ne sono pochine). Considerato che ho a che fare con continui ingarbugliamenti normativi e aggiornamenti informatici, cinque anni in più di lavoro accelereranno il mio rincoglionimento, così potrò usufruire, sì e no, di due-tre anni di lucidità mentale.
Ergo, se dovesse arrivare alle urne il referendum sulla legge Fornero, io non sarò uno di quelli che si daranno le martellate sui coglioni, ma voterei sì all’abrogazione dei nuovi limiti di età introdotti nel 2011 dalla ministra piagnona.
Ciò mi darebbe la possibilità non soltanto di andare in pensione, ma anche di usufruire della liquidazione, da unire ai miei modesti risparmi per emigrare in un paese più serio e sperare in un futuro migliore per mia figlia.
Parole sante…
”Bisogna sapersi perdonare. Tutti abbiamo difetti e a volte facciamo cose che non sono buone. Occorre avere il coraggio di chiedere scusa. E’ necessario usare tre parole: permesso, grazie e scusa. Ogni giorno in famiglia non si deve mai finire la giornata senza fare la pace.”
Pare che queste parole le abbia pronunciate Papa Bergoglio, ma chiunque altro l’avesse fatto, avrebbe detto parole sante.
Nessuno, soprattutto in famiglia, dovrebbe coricarsi senza avere ristabilito la serenità con le persone che gli stanno accanto, anche dopo giornate dure e faticose.
Permesso, grazie e scusa sono i grimaldelli che aprono anche porte che possono apparire sbarrate.
Ricordiamocelo sempre.
P.S.: oggi mi frulla in testa questa canzone, di un bravo artista che dovrebbe sentirsi di più, al posto degli urlatori da strapazzo che inondano la radio e la tv.
Se l’altro è il male assoluto
Elemire Zolla, nella sua controversa introduzione a “Il signore degli anelli” di Tolkien scrive che quest’ultimo nella sua opera “non cerca la mediazione fra male e bene, ma soltanto la vittoria sul male. I suoi draghi non sono da assimilare, da sentire in qualche modo fratelli, ma da annientare“.
Risuona nella mente la chiara e semplice esortazione di Saruman ai suoi orchi, mentre stanno partendo per l’ennesima battaglia: “Uccideteli. Uccideteli tutti“.
E, per contraltare, le parole di Aragorn ai suoi soldati, pronti a lanciarsi in uno scontro dagli esiti imprevedibili: “Non abbiate pietà di loro, perché loro non ne avranno di voi“.
Il poeta inglese V. H. Auden ha protestato contro questa visione: non esistono esseri che ubbidiscano al Male assoluto, “la loro esistenza sembra significare che è possibile che una specie dotata di parola e perciò capace di scelta morale sia maligna per natura“.
Capita a volte che alcune persone siano spinte a vedere in altre persone il Male assoluto. Perché l’operazione riesca, occorre che l’altro non venga riconosciuto come essere umano, cioè come essere dotato di ragione.
Niente meglio della religione riesce a organizzare e portare a termine questa operazione. Niente meglio della religione supporta questo processo; ne fornisce le solide basi, rende infiniti i conflitti e ne giustifica le atrocità.
Il talebano che spara in testa a una bambina di dieci anni perché qualcuno gli ha insegnato che è un gesto utile e coraggioso, ne è forse l’esempio oggi più eclatante, o per lo meno quello che maggiormente colpisce noi occidentali. Ma non è certamente l’unico.
Poi, per fortuna, a volte si leggono anche storie come questa.