Aquila Non Vedente

Aquila e tutta la sua famiglia (compreso Bibùlo)

La lotteria della vita

occhi-1In attesa dell’inizio delle mie terapie, ogni settimana devo fare la medicazione del PIC.

Così, il venerdì in tarda mattinata mi reco al day hospital oncologico in città, per questa operazione della durata di una decina di minuti.

A quell’ora nel day hospital vi sono pochi utenti. Percorrendo il corridoio, passo davanti alle stanze nelle quali viene distribuita la terapia. Nelle stanze vi sono sedie e letti. Qualcuno è seduto, qualcuno discorre con gli altri, qualcuno mangia, qualcuno messaggia con il cellulare, qualcuno invece è sdraiato.

Venerdì scorso ho sbirciato all’interno di una stanza. In un letto vicino all’entrata stava sdraiata una donna, con il volto rivolto verso la porta. Era una donna dall’apparente età di circa  trent’anni, di bassa statura (per quanto ho potuto vedere) e bruttina. Portava occhiali rotondi con lenti spesse, dietro le quali spuntavano due occhi grandi. Aveva uno sguardo curioso, ma un po’ triste.

I nostri sguardi si sono incrociati per un attimo. Avrei voluto chiederle qual era la sua storia, ma forse non era affar mio.

Mi è venuta da pensare una cosa.

C’è chi nasce bello, ricco, intelligente, simpatico, sano.

C’è chi nasce brutto, povero, stupido, insopportabile, malato.

La vita è una lotteria, insomma.

E’ soltanto colpa o merito nostro se peschiamo la pallina giusta o quella sbagliata?

Bambini

29 marzo 2015 Posted by | Storie ordinarie | , | 13 commenti

Pietro Savorgnan di Brazzà

pietro brazzà-1Credo che molti (come il sottoscritto fino a poche ore fa) ignorino l’esistenza di questo singolare personaggio: Pietro Savorgnan di Brazzà (Brazaville, attuale capitale della Repubblica del Congo, prende il nome da lui, che l’ha fondata).

Ma cos’aveva di particolare questo tizio, nato a Castel Gandolfo nel 1852 e morto a Dakar nel 1905, naturalizzato francese?

Era un  esploratore alternativo“, diremmo oggi, “dal volto umano“, uno di quelli che gli schiavi li comprava per liberarli, a differenza di quello che facevano i suoi colleghi inglesi, portoghesi, francesi o tedeschi.

Innamorato dell’Africa, cercava territori inesplorati da conoscere e studiare, stringeva accordi con re locali, era un idealista insomma.

A 15 anni si presentò a un ammiraglio francese in viaggio a Roma e si propose come ufficiale. Nel 1875 si avventurò nel cuore dell’Africa occidentale, lungo il fiume Ogoouè, con un carico di vestiti in velluto e seta con tanto di strass, cinture e diademi, che scambiò con gli indigeni in cambio di piroghe per continuare il suo viaggio.

Nel 1880 effettuò una seconda spedizione, in Congo. Le notizie su questo bianco buono fecero il giro dei villaggi e il capo del popolo tèkè lo invitò nella sua capitale e, in cambio di protezione, garantì il protettorato francese sulla riva destra del fiume, dove sarà poi fondata la città di Brazaville.pietro brazzà-2

La popolarità dell’esploratore italo-francese cresceva, ma in Francia suscitò invidie e gelosie. Durante un convegno pubblico a Parigi si confrontò con l’esploratore britannico Henry Morton Stanley e oppose al piglio arrogante di quest’ultimo la sua nobiltà d’animo e le sue motivazioni che lo avevano portato in Africa (che non erano quelle di sfruttare le immense ricchezze naturali del continente, ovviamente a costo zero).

Nel 1898 Brazzà fu destituito dal ruolo di governatore del Congo e si ritirò ad Algeri. Qualche anno dopo, quando in Francia circolarono voci di abusi, stragi e orrori compiuti dai colonizzatori in Congo, venne richiamato per svolgere un’inchiesta sul posto. Accettò l’incarico, trovò le prigioni dell’orrore e scrisse una relazione al vetriolo, terminata la quale s’imbarcò per la Francia, ma non arrivò mai a destinazione: morì a Dakar per una malattia tropicale o, come sospettarono alcuni, avvelenato.

Credo che vada ricordato questo personaggio, per quanto fu diverso dagli altri colonizzatori del tempo.

Sono passati, per esempio, soltanto poco più di cento anni da quando, nel 1904, il generale tedesco Lothar von Trotha sterminò gli Herero dell’Africa sud occidentale, che passarono da 80.000 a 15.000 anime. “L’esercizio della violenza, del terrorismo e perfino della macabra ferocia era ed è la mia politica” dichiarò il generale.

Chissà se qualcuno ha quantificato anche questi danni di guerra da rimborsare…

 

 

24 marzo 2015 Posted by | Manate di erudizione, Storie ordinarie | | 4 commenti

La spia

simbolo-spia-motoreNon parlo di 007 o di servizi segreti.

Sto parlando di una spia sul cruscotto della mia auto (proprio quella della foto), che s’è accesa ieri e che è rimasta accesa a tutt’oggi e che domani mi obbligherà a fare tappa dal meccanico.

E la cosa mi fa molto incazzare, perché so già che mi costerà qualche centinaio di euro.

Credo che si tratti molto probabilmente del solito maledetto filtro antiparticolato, una vera disgrazia per la mia auto e per quelle di molti altri italiani che hanno scelto il diesel, da quello che ho potuto leggere nei forum dedicati ai motori. Qualcuno ha addirittura proposto una class action nei confronti delle case produttrici che hanno dotato le proprie autovetture di filtri antiparticolato senza che la relativa tecnologia fosse ancora perfettamente a punto. Se il filtro non si rigenera automaticamente, nemmeno con lunghi viaggi in autostrada, si intasa e provoca una serie di disastri in giro per l’auto, nonché l’accensione della maledetta spia gialla.

Ovviamente io, da super sfigato come sono con i mezzi tecnologici, ci sono finito in mezzo in pieno: io e il FAP combattiamo una guerra di trincea da alcuni anni e mo’ io mi sono stufato di finanziarla.

Io quasi quasi abbandono l’auto e mi butto anima e corpo sulla bicicletta…

Musica (per gli anziani che ballavano in discoteca)…

22 marzo 2015 Posted by | Storie ordinarie | , | 19 commenti

Netanyahu

netanyahuQualche giorno fa, durante una trasmissione televisiva, Paolo Mieli, parlando delle imminenti elezioni in Israele e della prevista vittoria del fronte di centro-sinistra, disse: “Di una cosa siamo sicuri: in Israele i sondaggi funzionano!

E infatti s’è visto come hanno funzionato.

Mi sono ricordato di quando nel 2001 Ehud Barak, che era primo ministro uscente del partito laburista, veniva dato per vincitore da tutti i sondaggi e invece venne sconfitto da Ariel Sharon. In quell’occasione qualcuno disse che si era trattato di una manovra voluta appositamente dai rabbini, che avrebbero consigliato i propri seguaci di mentire ai sondaggisti, allo scopo di dare l’illusione ai laburisti di vincere.

Ho sempre paragonato il leader israeliano Netanyahu al Berlusca.

Alle elezioni del 2006 il Berlusca è riuscito a rimontare e alla fine della campagna elettorale ha sparato la promessa di eliminare l’ICI.

Netanyahu ha recuperato facendo leva sul populismo, sulla paura e, alla fine della campagna elettorale, sul rifiuto di consentire la nascita di uno Stato palestinese (almeno è quello che ho capito dai giornali).

Se guardiamo i seggi, il suo partito è passato da 31 a 30. Gli ultraortodossi, che dovrebbero essere i suoi futuri alleati, da 18 a 12. I centristi da 27 a 21. Non ci sarebbe gran che da festeggiare, ma evidentemente anche in Israele s’è fatta strada l’abitudine italiana di partire non da quello che eri, ma da quello che avresti potuto essere. E’ come se si dicesse a una persona che ha un regolare lavoro fisso: da domani sei licenziato. Poi dopo un po’ gli si propone un lavoro sottopagato e glielo si fa passare come un successo, con il trucco che avrebbe potuto andargli molto peggio.

Ora, nell’incasinatissimo scenario mediorientale e in quello ancora più incasinato del mondo islamico, dal Marocco al Pakistan, viene da chiedersi quale ruolo giocherà in futuro Israele.

Vorrei fare un discorso molto semplice.terroristi_alqaeda

Prendiamo un arabo qualsiasi, che al mattino si alza e non c’ha una mazza da fare; che vive in un posto semi distrutto dai bombardamenti; che c’ha mezza famiglia o morta ammazzata o in galera; che vive grazie agli aiuti internazionali; che gli hanno stroncato qualsiasi prospettiva di miglioramento di vita, per sé e per i suoi figli.

Una mattina a questo arabo gli si presenta uno dell’IS che gli dice: vieni a combattere con noi. Anzitutto ti diamo un obiettivo (che nella vita un obiettivo bisogna sempre averlo), poi ti diamo delle regole di vita (basta cazzeggiare tutto il santo giorno), dei soldi (e quando mai li hai visti duemila dollari al mese?) e ti diamo pure una speranza in caso di morte (te ne vai nel nostro paradiso, a trastullarti con qualche decina di pulzelle). Cosa vuoi di più? Quello parte e va, ovvio. Non ci vuole un genio a capire che dal Marocco al Pakistan vi sono infiniti serbatoi di potenziali terroristi.

Orbene, che c’entra tutto questo con Netanyahu?

C’entra nel senso che se noi occidentali vogliamo disinnescare il terrorismo islamico, dovremmo fare alcune cosette semplici semplici.

Primo: favorire e rafforzare quei governi arabi che sono rispettosi dei diritti umani. Il problema non è quello della democrazia, è quello del rispetto dei diritti umani.

Secondo: favorire l’elevazione del tenore di vita di quelle popolazioni, che altrimenti continueranno a emigrare.

Terzo: considerare chiusa la questione israeliana, nel senso che l’esistenza di Israele è un dato di fatto dal quale non si può prescindere. Giuste o sbagliate che siano state le modalità della sua nascita e del suo sviluppo, ora Israele c’è. Per chiudere questa partita non si può non dare una risposta alla questione palestinese, con la creazione di un loro Stato. Lo capisce anche un bambino. Il come, il dove, il quanto sono questioni da risolvere intorno a un tavolo, ma l’obiettivo deve essere quello. Prima si raggiunge, meglio è.

In questo senso Netanyahu rappresenta una risposta inadeguata al problema.

Staremo a vedere…

Take on me

19 marzo 2015 Posted by | Politica | | 26 commenti

Il deserto dei Tartari

deserto tartariSe questo è veramente un periodo buzzatiano, è impossibile non parlare del Deserto dei Tartari.

Questo libro (che fa parte dei cento libri del secolo eh? mica ciufoli…), insieme a un altro che ho sul comodino, me lo ricordo da una battuta di un professore d’italiano del liceo che, rispondendo a una domanda di uno di noi (“Professore, ma che succede nel Deserto dei Tartari?“), rispose: “Niente. Ma tu leggilo e ti accorgerai che accade una cosa d’importanza fondamentale nella vita di ogni uomo“.

E quella cosa d’importanza decisiva sta nelle ultime pagine del libro, nelle ultime frasi, nelle ultime parole.

Durante la lettura è impossibile non provare simpatia per il protagonista, quel Giovanni Drogo che rimane impigliato nella fortezza Bastiani per tutta la vita, senza capire bene il perché e il percome. Tutti i militari ad aspettare che compaia il nemico dal grande deserto nordico, che darebbe finalmente un senso alla loro permanenza in quella desolata fortificazione all’estremo nord del regno.

Ma purtroppo succede ben poco e la vita del tenente Giovanni Drogo, nel frattempo divenuto maggiore, si consuma tra le ferree regole militari, il desiderio di andarsene, la perdita degli amici nella sua città e, alla fine, la malattia per la quale viene obbligato a lasciare la fortezza proprio nel momento in cui arrivano nuovi militari perché forse sta per accadere qualcosa.

Se è vero che ogni libro esiste nella misura in cui viene letto, nel mio caso vi ho ritrovato tutto il senso del tempo che passa nella smania, nella frenesia, nel vagheggiamento (che può anche diventare sogno a occhi aperti) che accada qualcosa che interrompa, che scombini quel niente dal quale spesso ci si fa avvolgere. Ma spesso questo niente esiste soltanto nella nostra mente, perché in realtà è affollato di persone, di luoghi, di ricordi con i quali noi non riusciamo più a essere in sintonia. Struggente è la scena di Giovanni Drogo che, durante una licenza, incontra la sorella di un amico, della quale era ed è innamorato, ricambiato, ma con la quale non riesce più a entrare in confidenza, se non proprio in intimità. E la lascia andare e si lascia andare, tornando mestamente nella sua fortezza.

Ma cosa accade di così fondamentale alla fine della storia?

Mentre Giovanni Drogo, stanco e malato, si sta dirigendo verso la città, si ferma in una locanda e solo, nella sua stanza, in quella che doveva essere una sera di felicità per gli uomini anche di media fortuna, sentì che il duro carico dell’animo suo stava per rompere in pianto.

Giovanni Drogo sente stringersi attorno a sé il cerchio conclusivo della vita. E dall’amaro pozzo delle cose passate, dai desideri rotti, dalle cattiverie patite, veniva su una forza che mai lui avrebbe osato sperare.

Coraggio Drogo. E lui provò a fare forza, a tenere duro, a scherzare con il pensiero tremendo. Ci mise tutto l’animo suo, in uno slancio disperato, come se partisse all’assalto da solo contro un’armata. E subitamente gli antichi terrori caddero, gli incubi si afflosciarono, la morte perse l’agghiacciante volto, mutandosi in cosa semplice e conforme a natura. Il maggiore Giovanni Drogo, consunto dalla malattia e dagli anni, povero uomo, fece forza contro l’immenso portale nero e si accorse che i battenti cedevano, aprendo il passo alla luce.

Eccola qui la cosa di fondamentale importanza che affronta il protagonista.

La porta della camera palpita con uno scricchiolio leggero. Forse è un soffio di vento, un semplice risucchio d’aria di queste inquiete notti di primavera. Forse è invece lei che è entrata, con passo silenzioso, e adesso sta avvicinandosi alla poltrona di Drogo. Facendosi forza, Giovanni raddrizza un po’ il busto, si assesta con una mano il colletto dell’uniforme, dà ancora uno sguardo fuori della finestra, una brevissima occhiata, per l’ultima sua porzione di stelle. Poi nel buio, benché nessuno lo veda, sorride.

Vien voglia di dire alla fine: ciao Giovanni. In bocca al lupo.

P.S.: questo film devo averlo in videocassetta. Rimetto in funzione il video registratore e me lo vedo.

17 marzo 2015 Posted by | Libri | | 16 commenti

Noi e la Giulia

noi e la giuliaDopo un paio di mesi di fermoimmagine, oggi sono tornato al cinema, tanto per trascorrere un paio d’ore spensierate, e ho optato per questo film di Edoardo Leo.

Edoardo Leo me lo ricordavo nel film Ti ricordi di me? che ho visto all’incirca un anno fa (quanto tempo e quante cose sono trascorse, accorse e soccorse nel frattempo…) e che a me è piaciuto.

Noi e la Giulia è – per farla breve – la storia di tre falliti, ai quali si aggrega dapprima un comunista nostalgico, buono a usare le mani (a lavorare e a menare i rompicoglioni) interpretato da un barbuto Claudio Amendola e poi una “sbalestrata” con il pancione (Anna Foglietta). I cinque acquistano un casale abbandonato nel meridione, per aprire un agriturismo, ma avranno a che fare con i mafiosi del posto e allora adottano una loro personalissima strategia per renderli innocui.

E’ un film piacevole, senza grandi pretese e senza volgarità.

Tra l’altro l’autore del libro dal quale è tratto è quel Fabio Bartolomei autore de La banda degli invisibili che lessi ben due anni e mezzo fa (quanto tempo e quante cose sono trascorse, accorse e soccorse nel frattempo…): la banda dei vecchietti ex partigiani che decidono di rapire il Berlusca.

Consigliato.

15 marzo 2015 Posted by | Film | | 6 commenti

La mia malattia e la mia cura

fleboNon pensiate che dalla dimissione dall’ospedale (il 17 febbraio) a oggi io me ne sia stato qui a cincischiare, a gozzovigliare, a bighellonare!

No. Mi sono sottoposto a esami, visite, medicazioni, analisi e tricchetracche e oggi so cosa mi spetta nel futuro prossimo venturo.

Premesso che mi hanno asportato una cinquantina di linfonodi nel collo (quindi non avrò bisogno di lifting per i prossimi vent’anni, almeno spero), tre di questi sono risultati in metastasi. Il tumore cosiddetto “primitivo” non è stato trovato. Trattasi di carcinoma squamocellulare, cioè che non ha origine né polmonare né ghiandolare, ma dalle mucose o dalla pelle. I marcatori tumorali sono negativi, quindi potrebbe darsi – secondo l’oncologa – che il tumore sia stato asportato insieme ai linfonodi.

Ad aprile inizierò la radioterapia, che è la terapia principale: sei settimane, una seduta al giorno da lunedì a venerdì. Contemporaneamente dovrò effettuare una chemioterapia radiosensibilizzante, cioè di supporto e di stimolo alla radioterapia: una flebo per un giorno di ognuna delle sei settimane. Pare che quest’ultima sia più leggera della chemioterapia normale.

Se la radioterapia mi preoccupa per i suoi effetti collaterali (bruciore e secchezza della pelle del collo, delle guance e della gola), la chemioterapia mi terrorizza alquanto. Spero che sia effettivamente più leggera di quella tradizionale.

Se tutto va bene, quindi, terminate queste sei settimane di “passione”, spero di tornare alla normalità, cioè a mangiare le lasagne, a bere il gutturnio e ad andare in bicicletta (tutte cose che durante la radioterapia non posso fare). Per il lavoro invece c’è tempo…

Comincio a pensare che forse posso guarire.

Saluti e buon week-end.

Ma il cielo è sempre più blu

 

14 marzo 2015 Posted by | Un po' di me | , | 18 commenti

L’uovo

uovo1Vorrei tornare un attimo sul post precedente, cioè sul libro di Buzzati La boutique del mistero, perché c’è un racconto che mi ha emozionato: L’uovo (da notare che anche nei titoli Buzzati mantiene quella sua tipica semplicità di linguaggio presa dalla lingua parlata, dimostrando che non è con i termini artificiosi che si costruiscono buone storie).

Leggendo la raccolta, ho ritrovato reminiscenze giovanili di racconti letti forse ai tempi del liceo: Una cosa che comincia per elle, Il cane che ha visto Dio, il famosissimo Lo scarafaggio, Il colombre, Ragazza che precipita, ma L’uovo proprio non me lo ricordavo.

Di cosa si parla in questo racconto allegorico (almeno così mi pare)?

Nel giardino della villa Reale la Croce Viola Internazionale organizzò una grande caccia all’uovo riservata ai bambini minori di dodici anni. Biglietto, ventimila lire.

Da notare il richiamo alla Croce Viola Internazionale, paradigma di quelle associazioni caritatevoli e benefiche ancora oggi tanto diffuse che organizzano le loro manifestazioni nelle ville “reali”.

Gilda Soso, cameriera, vuole portarvi sua figlia Antonella, ma non ha i soldi. Così la veste meglio che può, indossa una cuffia da nurse e, approfittando di un momento di confusione, entra nel parco senza pagare il biglietto.

Parte la caccia al tesoro: i bambini devono trovare le uova nascoste sotto mucchi di fieno, ma alla piccola Antonella i bambini dei signori mettono soggezione. Corre di qua e di là, ma non prende niente, e quando sta per prendere qualcosa, glielo fregano.

Finita la caccia, Antonella rimane a mani vuote e le si avvicina una bambina che a fatica riesce a portare tutte le uova che ha trovato.

“Hai trovato niente tu?” chiede ad Antonella e le offre una delle sue uova, una di quelle più piccole, di cartone. Ma si avvicina subito la mamma che le chiede per quale motivo ha offerto un uovo a un’altra bambina.

“Non gliel’ho dato, è lei che me l’ha preso” risponde pronta la bambina.

“Non è vero!” ribatte Antonella, ma ormai è troppo tardi. Si avvicina una dama della Croce Viola che vuole andare fino in fondo al “crimine” e inizia a interrogare Antonella. A un certo punto si avvicina la madre e la dama scopre che non ha il biglietto. Così toglie l’uovo dalle mani della bambina e invita la madre a uscire, con la figlia.

La bambina rimase là impietrita e sul faccino stava scavato un tale dolore che il cielo del mondo intero cominciò a ottenebrarsi.

 E’ a questo punto che il racconto decolla.alaska

Mentre la dama se ne va con l’uovo, Gilda esplode per tutte le umiliazioni, le rabbie, i patimenti subiti negli anni e si mette a urlare, coprendola di parolacce. La gente intorno si scandalizza, Antonella piange, ma Gilda è ormai fuori di sé. Arrivano due agenti, che la trascinano fuori, ma lei urla, si divincola. La caricano sul furgone della polizia e la dama della Croce Viola afferra Antonella: “Adesso tu vieni con me. Gliela farò dare io una lezione, alla tua mamma”.

Nessuno si ricordò che in certi casi l’ingiustizia patita può sprigionare una potenza spaventosa.

“Crepa tu per prima!” dice la Gilda alla dama, e questa si affloscia esanime a terra. Stessa cosa accade con i poliziotti. La gente si ritrae terrorizzata e Gilda prende per mano Antonella e se ne va.

Intanto arrivano i rinforzi: polizia, ambulanze, pompieri. Gli agenti la circondano, ma Buzzati scrive: Era una mamma offesa e umiliata, era una forza scatenata della natura e non c’è verso di fermarla.

Gilda raggiunge la sua casa e la polizia la circonda. Le viene intimato di uscire e consegnare la bambina, ma la Gilda si affaccia al balcone: poche parole incomprensibili bastano per fare arretrare gli agenti. Arrivano i soldati con i carri armati, ma basta un grido per farli rovesciare. Allora interviene l’ONU, la città viene evacuata e iniziano a bombardare la casa, ma le bombe scoppiano tutte a mezz’aria, senza raggiungere l’obiettivo. Allora tentano di prenderla con la fame e la sete, ma neanche questa manovra riesce, perché misteriosamente il camino continua a emettere il suo fiato di fumo, segno che la Gilda stava cucinando.

E allora i generalissimi decidono l’attacco finale, ma basta che la Gilda si affacci al balcone urlando “Basta!” che i carri armati si sgretolano, trasformandosi in mucchi di ferraglia.

Finalmente il segretario generale dell’ONU capisce che è una battaglia persa e alza bandiera bianca. La Gilda lo invita a entrare. Lui le chiede quali sono le condizioni per la pace. La Gilda gli offre un caffè e dice: “Voglio un uovo per la mia bambina“.

Dieci camion si fermarono dinanzi alla casa. Ne furono scaricate uova di ogni dimensione, di fantastica bellezza, affinché la bambina potesse scegliere. Ce n’era perfino uno d’oro massiccio tempestato di pietre preziose, del diametro di trentacinque centimetri.

L’Antonella ne scelse uno piccolo, di cartone colorato, uguale a quello che la patronessa le aveva portato via.

No comment.

13 marzo 2015 Posted by | Libri | | 7 commenti

La boutique del mistero

La-boutique-del-misteroIn Italia è noto che i racconti e le relative raccolte non godono di molta fortuna: gli editori non le pubblicano perché i lettori non le leggono (o forse i lettori non le leggono perché gli editori non le  pubblicano?).

Io ho una mia teoria in proposito.

Si sa che il racconto ha una struttura più “semplificata” del romanzo: di una cosa parla e non di tante che si intrecciano tra di loro. I personaggi sono sommariamente tratteggiati; le situazioni abbozzate. Nel romanzo invece c’è una trama con un inizio, una fine, relazioni, intrecci, ecc. Il romanzo lascia meno spazio alla fantasia, soprattutto se è di quelli che vogliono descrivere tutto (in teoria non dovrebbe essere così). Il romanzo spiega, analizza, mentre il racconto lascia aperti larghi squarci nella storia.

Questo mi veniva da pensare leggendo (in parte rileggendo)  La boutique del mistero di Dino Buzzati.

Prendiamo per esempio uno dei racconti più famosi: Sette piani.

Dopo un giorno di viaggio in treno, Giuseppe Corte arriva, una mattina di marzo, alla città dove c’era la famosa casa di cura. Aveva un po’ di febbre, ma volle fare ugualmente a piedi la strada fra la stazione e l’ospedale, portandosi la sua valigetta.

Questo è l’incipit del racconto.

Da dove viene il protagonista? Perché arriva solo, non ha famiglia o amici? Quanti anni ha? In quale città è la casa di cura?

Tutte cose che non vengono spiegate. Sappiamo soltanto che la casa di cura ha sette piani, ha una vaga fisionomia d’albergo ed è cinta tutt’attorno da alti alberi.

Giuseppe Corte viene sistemato al settimo piano e, parlando con un’infermiera, viene a sapere della strana caratteristica di quell’ospedale: i malati sono distribuiti nei piani a seconda della loro gravità. Al settimo piano stanno le forme leggerissime; più si scende, più vi sono i gravi, fino ad arrivare al primo piano, dove vi stanno quelli per cui era inutile sperare.

A questo punto inizia la “discesa” di Giuseppe Corte: con scuse banali, spesso senza apparenti motivi legati alla sua malattia e al suo aggravamento, il paziente comincia a scendere i diversi piani. Il clima diventa angosciante, ma il racconto non “devia”, rimane ancorato alla “discesa” del protagonista, che tende a ribellarsi a questa situazione, ma gli vengono a mancare progressivamente le forze. E ci si chiede: ma perché nessuno viene a trovarlo? Di quali affari si occupava al lavoro? E gli altri pazienti cosa dicono?buzzati-2

E Giuseppe Corte scende sempre di più, per curarsi meglio, per motivi burocratici, per sbaglio, ma sempre più in basso si trova, finché arriva al primo piano e le persiane scorrevoli della sua stanza si chiudono inesorabilmente…

Ecco, forse oggi i lettori non hanno più voglia di “riempire” con la loro fantasia le storie dei racconti. Forse non hanno più voglia di passare, nell’arco di pochi minuti, da una nave che solca un mare misterioso seguita da un colombre a una grande villa molto “lovecraftiana” invasa da fetidi topi che ne prendono in ostaggio i proprietari.

Oggi si passa dal tweet di 140 caratteri al romanzo-fiume di 800 pagine. Non c’è la mezza misura. Non c’è più spazio per il racconto, quello che si può leggere in bagno, in auto mentre si aspetta il figlio che esca da scuola, oppure prima di addormentarsi. Quello che racconta un episodio della nostra o dell’altrui vita. Quello che non ha la supponenza di voler spiegare tutto, ma soltanto di aprire uno squarcio su un aspetto della realtà, lasciando ad altri il compito di raccontare il prima e il dopo.

Ahimè… non ci resta che un po’ di musica…

12 marzo 2015 Posted by | Libri | | 3 commenti

La migliore legge anticorruzione

manetteSono mesi, anni, decenni che sento parlare di leggi anticorruzione.

Si fa finta di farle; si fanno; si cambiano; al momento buono, risulta che sono inapplicabili; allora bisogna rifarle; però se si rifanno, sembra che si voglia colpire una persona specifica; allora non si cambiano; ma se rimangono così sono inutili.

Come dire: mi sono rotto le palle di questi dibattiti che ormai non seguo nemmeno più.

C’è un metodo perfetto per sconfiggere la corruzione: candidare e votare persone oneste. Da qualsiasi parte stiano.

E’ semplice. Non vi sono controindicazioni. Non occorrono leggi specifiche.

Certo, nessuno è perfetto e anche questo metodo può presentare errori di percorso, ma se si verificano c’è un sistema semplicissimo per correggerli: si allontanano i disonesti. Subito, senza se e senza ma.

Certo, questo meccanismo funziona a due condizioni.

Prima condizione: i partiti devono candidare persone oneste. E quando si lavora fianco a fianco si sa benissimo che lo è e chi non lo è. Non c’è bisogno di magistrati, carabinieri, indagini, ecc. Si sa.

Seconda condizione: gli elettori devono votare persone oneste. Come si riconoscono? Be’, direi che è di una semplicità disarmante: chi arriva a chiederti il voto facendo promesse che manco Babbo Natale potrebbe sostenere, quello è uno da non votare.

Ora, voi potrete anche dirmi che queste sono fantasie, ma se così è, mi si spieghi una cosa semplice semplice: se i partiti non vogliono candidare persone oneste e se gli elettori non vogliono eleggerle, che senso ha fare le leggi anticorruzione che poi nessuno vuole applicare?

Quindi, si smetta di rompere i coglioni alla gente e si faccia il proprio dovere. Punto.

Musica!

11 marzo 2015 Posted by | Politica | | 9 commenti