25 aprile
Italo era uno dei tanti fratelli di mia madre. Portava un nome altisonante, era alto e robusto, lo sguardo fiero e severo, contadino figlio di contadini.
Aveva assaggiato i manganelli dei fascisti e ora che l’Italia si stava liberando da loro e dai loro amici tedeschi, la sua casa era una delle tante che fornivano supporto logistico ai partigiani nella campagna padana.
Quel giorno quando tornò a casa trovò le sue sorelle poco più che ventenni spaventate a morte.
“Cos’è successo? – chiese – Ci sono stati i tedeschi o i fascisti?”
“No – risposero quelle – ci sono stati i partigiani. Cercavano le armi, noi non ne sapevamo niente e allora hanno minacciato di metterci al muro!”
Italo trasalì. “Chi era il capo?” chiese furente. Glielo descrissero e allora lui inforcò la bicicletta e se ne andò da quello, che conosceva bene. Lo affrontò davanti agli altri: “Se ti permetti ancora di andare in giro a spaventare la gente, ti faccio vedere io!”
Erano tempi difficili quelli, la discussione poteva anche finire male; bastava poco per menare le mani o schiacciare un grilletto. Ma il capo partigiano capì di avere commesso un errore e biascicò qualche parola di scuse.
Mi piace ricordare che la resistenza, carattere fondante dell’Italia, fu fatta da persone che compirono anche errori, ma che si schierarono dalla parte giusta.