Eugenio Scalfari
Quindici giorni fa avrei voluto scrivere un posto sulla morte di Eugenio Scalfari (non mi esprimo sui motivi per cui non l’ho fatto).
Perché la morte di Scalfari mi ha riportato indietro di 45 anni della mia vita, a quel gennaio del 1976 quando uscì Repubblica.
Erano i primi anni della mia turbolenta esperienza politica, alquanto disorganizzata.
Gli anni del liceo, delle discussioni con i compagni di scuola.
Ma soprattutto erano gli anni delle speranze e delle illusioni.
Le speranze che saremmo riusciti a cambiare il mondo, in meglio ovviamente.
Le illusioni che ci avrebbero permesso di cambiarlo, il mondo.
E allora negli anni successivi Repubblica, insieme a l’Unità, diventarono i giornali di riferimento.
Nelle grandi occasioni si potevano comprare tutti e due e si tenevano sotto al braccio, come i grandi intellettuali. E Scalfari era una presenza autorevole, tranquilla e ragionata.
Oggi l’Unità non c’è più (e nemmeno il PCI) e Repubblica si legge on line.
E non si può tenere il tablet sotto al braccio, perché scivola giù…
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