Aquila Non Vedente

Aquila e tutta la sua famiglia (compreso Bibùlo)

Dalla precarietà del lavoro alla precarietà della vita

Prendete un nano (uno di quelli di Biancaneve, per esempio) e ripetetegli mille volte al giorno che lui è un gigante. Dopo un paio di mesi di questa cura, portatelo in un asilo nido: se ancora aveva qualche dubbio in proposito, si sarà convinto del tutto che lui è un torregginate e imponente spilungone.

Così funzionano le leggi della persuasione e della convinzione: continuare a ripetere un concetto, anche se è il più assurdo, irragionevole, folle; anche se in fatto di logica è una bestemmia.

Così è per il famoso articolo 18.

Premetto che ho scarsa simpatia e fiducia nei sindacalisti: hanno assorbito anche loro l’aria che tira e si sono specializzati nella difesa dei farabutti (forse perché buona parte di loro è effettivamente un farabutto). Se dovessi giudicare il sindacato dalla faccia e dalle parole di Landini, sarei quasi propenso a vietarlo per legge, ma qui il problema travolge anche uno degli ultimi parolai rossi.

Vediamo di fare un po’ di chiarezza.

In Italia ci sono sostanzialmente due tipi di licenziamento.

Il primo è il licenziamento per giustificato motivo. Il giustificato motivo può essere oggettivo, cioè legato all’azienda (esempio: crisi aziendale, ristrutturazione, ecc.), oppure soggettivo, cioè legato al lavoratore (esempio: lo scarso rendimento o l’insubordinazione). Il licenziamento per giustificato motivo esisteva anche prima dello Statuto dei lavoratori e prevede il preavviso.

Il secondo tipo è il licenziamento per giusta causa. Questo tipo di licenziamento presuppone, in sostanza, che venga a cessare il rapporto fiduciario tra l’imprenditore e il lavoratore. E’ talmente grave, che non c’è nemmeno preavviso: il rapporto di lavoro cessa immediatamente.

Il licenziamento per giusta causa può anche non essere collegato all’attività del lavoratore. Uno degli esempi classici che fa il mio manuale di diritto del lavoro è quello dell’insegnante in una scuola cattolica che divorzia: secondo alcune teorie può essere una giusta causa di licenziamento. Quello può essere l’insegnante migliore del mondo, ma il divorzio (fatto assolutamente personale) può fare cessare il rapporto fiduciario con la scuola di orientamento cattolico e quindi contraria al divorzio civile.

Non parliamo poi dei licenziamenti “mascherati”, nei confronti dei lavoratori a tempo determinato, dei collaboratori, delle finte partite iva. Non parliamo dei licenziamenti in bianco firmati al momento dell’assunzione. Non parliamo dei licenziamenti  per il passaggio da una società a un’altra (simile alla prima, ma con nome diverso).

Orbene, una persona normale cosa dovrebbe pensare?

Si può licenziare per crisi aziendale o per ridurre i costi, si può licenziare un lavoratore fancazzista, si può licenziare quando cessa il rapporto fiduciario. Ci sono centinaia di forme contrattuali possibili. Cosa occorre oltre a questo per tutelare le imprese?

E invece no.

Da anni ci stanno bombardando dicendoci che una persona normale aborrisce questo sistema, che è arcaico, ingiusto, tutela soltanto alcuni e non tutti, disincentiva gli investimenti, ecc.

Insomma, ci stanno raccontando un sacco di balle.

Ma allora ci si potrebbe chiedere: se tutta questa manfrina dell’articolo 18 è una bufala, perché continuare a insistere, a rischiare lo scontro sociale per nulla?

Qui sta il punto.

Al nano di cui sopra, non è sufficiente che gli raccontiate che è un gigante. Dovete anche dirgli: “Ma come, non ti vergogni? Tu sei così alto e gli altri t’arrivano sì e no al ginocchio! Visto che non possiamo certamente accorciarti, ti diamo periodicamente una bella dose di randellate, così sarai costretto a camminare curvo e a testa bassa, così sarai uguale agli altri” e avrete risolto il problema.

Il fatto è che qui si vuole passare dalla precarietà del lavoro alla precarietà della vita.

Vogliono che la gente si alzi al mattino e pensi: “Speriamo che oggi al mio capo piaccia il mio vestito, la mia pettinatura, che gradisca l’abbinamento delle scarpe con la borsa. Speriamo che nel fine settimana non abbia trovato un’altra segretaria con le tette più grosse delle mie. Altrimenti mi licenzia in quattro e quattr’otto”.

Conosco un’obiezione: il sistema attuale non consente il licenziamento dei fancazzisti, che i giudici reintegrano con l’aiuto dei sindacalisti.

A parte il fatto che occorrerebbe chiarire qual è l’entità del problema, non si capisce perché al limite non si intervenga su questo punto, senza scatenare una guerra mondiale.

Perché l’obiettivo non è questo, ovvio. Il problema del cosiddetto “articolo 18” non è economico e nemmeno giuridico, è essenzialmente morale. E la nostra società la morale se l’è ormai messa sotto ai piedi, spiaccicandola coma una cicca di sigaretta fumata e gettata via.

Sarebbe necessaria una levata di scudi morale, non di difesa, ma di attacco, per spazzare via tutte quelle oscenità contrattuali introdotte negli ultimi anni (anche per merito dei soloni del centro sinistra). E per avviare finalmente un processo civile di riconoscimento del lavoro (retribuito il giusto e rispettato) per quello che è: uno dei fondamenti della nostra società.

Ma tant’è…

P.S.: e poi non dite che sono comunista, eh?

7 febbraio 2012 Posted by | Politica, Sani principi | , | 27 commenti