Ciuingam gnam gnam
Ricevo, come credo tutti, centinaia di spam ogni settimana, che i filtri delle caselle e-mail riescono a bloccare quasi interamente.
Purtuttavia, periodicamente è necessario dare un’occhiata alla cartella anti-spam, perché di questi blocchi a volte ne fanno le spese anche mail “buone”.
E così diventa naturale dare un’occhiata a qualcuna di queste mail-spazzatura.
Ci sono quelle che provengono da banche, con le quali non ho mai avuto alcun rapporto, che mi informano che il mio conto è bloccato. Oppure dalla posta, che mi informano che c’è un bonifico bloccato da qualche parte per motivi incomprensibili.
Poi ci sono le lotterie: quelle che mi informano che ho vinto un milione di dollari, però – accidenti! – si sono accorti che io non ho mai acquistato alcun biglietto. E allora posso farlo adesso, che diamine!
Poi ci sono le eredità: strani avvocati e notai di paesi sconosciuti che hanno ereditato decine di milioni di dollari che però – perbaccolina! – non possono essere fatti espatriare se non attraverso il mio conto corrente, in cambio del 20-30% della somma ereditata. Ma il povero avvocato/notaio ha tutti soldoni bloccati, e allora avrebbe bisogno di un mio bonifico. Poca roba: 10-20mila euro. In fondo cosa sono, in cambio di qualche decina di milioni di dollari?
E infine ci sono le medicine. Medicine miracolose, ovviamente, che esplicano i loro benefici effetti soprattutto in campo sessuale, promettendo prestazioni senza fine.
Vi sono casi nei quali le mail-spazzatura mi arrivano da indirizzi mail in tutto e per tutto simili al mio!
Ieri, però, mi è arrivata una mail da un certo Filippo Bassini che mi informa che è in vendita un prodotto eccezionale. Il primo chewing gum erettile: HARD GUM!
Il Filippo precisa che
HARD GUM è un chewing gum unico che, masticato, libera dei principi attivi unici e diffonde nell’organismo potenti afrodisiaci. In mezz’ora il tuo pene diventerà un vero e proprio aereo caccia! Sarai attrezzato per 1 ora di volo senza incidenti e con la certezza di rompere il muro del suono ad ogni “uscita”
e poi precisa che
“le gomme da masticare HARD GUM contengono quantità controllate (150 mg) di principi attivi concentrati. La masticazione libera in bocca questi principi attivi che si diffondono nell’organismo attraverso le mucose e la saliva. Direttamente assorbiti dal sangue, la loro azione afrodisiaca è estremamente rapida ed efficace: mastica 1 chewing gum per 30 minuti e ormai ha un’erezione lunga 1 ora. Questo sistema di somministrazione, di fatto, è lo stesso dei chewing gum a base di nicotina utilizzati per smettere di fumare. 1 solo chewing gum HARD GUM ti fornirà il dosaggio perfetto per avere un’erezione di 1 ora, senza alcun cedimento”
Ora, caro signor Filippo, al di là delle difficoltà pratiche legate a questa nuova scoperta (per esempio: se uno con la cicca fa il palloncino che gli scoppia in faccia, dopo quanto tempo gli passa l’effetto-paresi e può riprendere i normali movimenti del volto?), io mi e le chiedo: masticare mezz’ora per essere “attrezzati” per un’ora?
Come avrebbe detto il grande Totò: ma mi faccia il piacere!
Per quello basta una mentina…
Il sogno
Non posso nascondere che io, nella vita, avrei voluto fare tutt’altro lavoro rispetto a quello che svolgo da quasi 25 anni.
Un lavoro più utile, più interessante di quello che è diventato.
Malgrado questo, il mio lavoro l’ho sempre svolto al meglio delle mie possibilità, anche se negli ultimi anni è diventato quasi un inferno.
Sono cosciente che, nella situazione generale, forse sono un privilegiato, ma ciò non toglie che le scartoffie mi stanno facendo morire.
Già, io sto morendo tra le scartoffie. E’ da tempo che lo sento.
Uno dei sogni della mia vita, fin da bambino, è stato quello di fare lo scrittore, di raccontare storie, inventate o meno.
Ma la vita mi ha portato da altre parti, mi ha portato a inventare altre “storie”, molto meno interessanti.
Mi sono dedicato un po’ alla scrittura da quando ho abbandonato la politica. Racconti satirici e umoristici che potessero portare un sorriso, che potessero fare dimenticare, anche soltanto per un attimo, i problemi e i dolori della vita. Mi piacerebbe anche scrivere storie per bambini. Fare interessare un bambino, fargli sgranare gli occhi sarebbe una immensa soddisfazione, ma non è facile.
Poi la vena umoristica si è come esaurita e ha lasciato il posto ad altre tematiche. Poi è sembrata risorgere, rispuntare fuori dai marasmi della vita quotidiana.
Quello di scrivere è rimasto un sogno, fino all’altra sera, quando tra le mail degli ultimi giorni ho trovato quella di un editore. Un editore della capitale, un editore serio, non uno di quelli finti della cosiddetta “editoria a pagamento”, che mi comunicava che era interessato all’eventuale pubblicazione di un mio libro.
Se all’interno della mail non fosse stato citato il titolo del mio libro, avrei pensato a un errore di invio; avrei pensato di ricevere l’indomani un’altra mail di questo tenore: “Ci scusi, ma c’è stato un errore di indirizzo. Il suo manoscritto è una ciofeca, roba da vergognarsi anche soltanto di averlo spedito. Volevamo scrivere a un altro“.
Allora ho risposto. Ho risposto ringraziando dell’attenzione dimostrata al mio manoscritto e che sì, sono interessato a discuterne. E quello – secondo fatto incredibile – mi ha pure risposto, scrivendo che attende di sapere quando posso andare.
So benissimo che sono soltanto ai primi passi, ma so quanto sia difficile entrare nel mondo dell’editoria. So quanto sia importante avere alle spalle un libro vero e proprio, per poterne scrivere e proporre altri. Credo che abbia ragione una delle pochissime persone alle quali l’ho detto: “Se anche ti chiedessero di riscrivere tutto il libro in una settimana, vai in ferie e lavoraci su giorno e notte”.
Forse questa è veramente la mia occasione.
Per portare un po’ di sorrisi.
Forse per raccontare in futuro altre storie.
Sicuramente, per tentare di raggiungere un sogno.
Ora qualche giorno di pausa, poi ci prepariamo alla grande festa di Halloween, la festa delle streghe (cioè delle donne...) e poi cogliamo l’attimo!
Il terzo
“A., te l’ho detto un sacco di volte che quando torni da scuola ti devi cambiare i vestiti! Che poi ti strusci e li sporchi, e io mica posso continuare a lavare i tuoi vestiti!”
“A., non puoi lasciare i tuoi vestiti tutti stropicciati sul letto! Li devi ripiegare bene! Io non posso continuare a stirare la tua roba!”
“A., che ci fanno quattro paia di scarpe sparse per il salotto? Vedi di metterle a posto i-m-me-d-i-a-t-a-m-e-n-t-e!”
“A., devo preparare la tavola! Non puoi lasciarla piena di tutti ‘sti quaderni, carte, penne, matite e robaccia simile!”
“A., non me ne frega niente se oggi in mensa hai mangiato un mandarino! Vedi di finire quell’uva! Anche quei due chicchi che dici che hanno la pelle con la cellulite!”
“A., vogliamo ficcarci bene nella zucca che qua il capo sono io e tu mi devi ubbidire? Eh?”
“Papà: il terzo.”
“Il terzo? Ma il terzo cosa?”
Stalking (letterario)
Di nuovo tu? Ma cosa vuoi ancora? Sono giorni che mi perseguiti, non ne posso più!
Come dici? Non pensavi di darmi fastidio? Ma se mi ossessioni dalla mattina alla sera; nella pausa pranzo e durante la cena; prima di andare a letto e anche la notte!
Te l’ho già detto che in questi giorni devo lavorare e non posso dedicarmi a te. Ho anch’io la mia vita: devo fare tutte quelle cose che fanno gli uomini normali (credo): cucinare, lavare, stirare… E poi vorrei anche avere una mia vita, se così possiamo dire, “sociale”.
Ma no, non mi sono affatto scordato di te. Ho impresso tutto nella memoria, tranquilla, parola per parola.
Come? Uscire prima dall’ufficio? Scordatelo! Non ci vivo mica io con te. E non ho tempo.
Ora fai pure la gelosa? Dici che ieri ho rivisto quell’altra? Ti posso spiegare.
No no, ora devi starmi a sentire. Te l’ho già detto che con lei è una storia chiusa, finita. L’ho rivista solo un attimo, per mettere a posto alcune cose. Per mettere i puntini sulle i, se proprio vogliamo essere precisi.
Lo so, lo so che sei una delle migliori che mi siano mai capitate. Ti prometto che stasera, dopo cena, mi dedicherò esclusivamente a te. Ora però lasciami in pace.
Come sarebbe a dire che vuoi che renda pubblica la cosa? E come, di grazia?
Come dici? Farti conoscere dagli amici? Sul blog??? Naaaaaaaa……… Però, forse, se la cosa riesce bene, si potrebbe anche fare. Ora però vattene, per favore. Devo pensare alle scartoffie. Ci vediamo stasera.
Io non le sopporto le idee per i racconti, come quest’ultimo.
Il pre-parto è quasi più doloroso del parto, ma i vostri commenti mi hanno sinceramente commosso.
Un grazie a tutte/i.
A chi mi ha ripreso nel proprio blog, a chi si è ispirato per la sua storia, a chi ha letto e commentato, a chi ha soltanto letto e una rassicurazione al Cavalieregironzolone: stavolta è aggratis. Stavolta!
L’uomo senza amici
Oggi ho conosciuto l’uomo senza amici.
L’ho conosciuto al supermercato, al termine della spesa; conducevo uno di quei cestini con le ruote e il manico, quando – galeotto fu il pecorino – sterzando improvvisamente verso il banco dei formaggi, i nostri corbelli sono entrati in collisione, proprio davanti al banco degli yogurt. Le nostre spese si sono mischiate; panini e brioche alla marmellata sembrava si salutassero l’uno con l’altro; scatolette di carne e di tonno che si rincorrevano rotolando da tutte le parti; carte igieniche e fazzoletti usa e getta che si scambiavano profumi con i detersivi e i deodoranti per ambienti.
“Mi scusi.” ha detto lui mentre raccattava i suoi acquisti.
“Di niente. – ho risposto io mentre facevo altrettanto con i miei – Lei veniva da destra, aveva la precedenza.”
Mi sono recato in cassa, ho pagato e sono uscito dal supermercato. Nel parcheggio, ho sentito una voce alle mie spalle: “Signore! Scusi signore!”
Mi sono voltato: era lui, l’uomo senza amici. Veniva verso di me con la sua borsa della spesa che era delle stesse dimensioni della mia.
“Credo che nello scontro ci siamo scambiati qualcosa – ha detto, un po’ trafelato – Forse la mia carne è finita nel suo cestino.”
“La sua carne? Non me ne sono accorto.”
Ho frugato nella borsa e ho trovato un sacchettino del banco macelleria. Sarà stato sì e no mezz’etto di carne macinata, sessantotto centesimi.
“Forse è questa?”
“Sì grazie, è proprio questa. Aspetti che gliela pago.”
Ha iniziato a frugarsi convulsamente nelle tasche, concludendo con un “Accidenti! Non ho moneta.”
“Fa niente. Sarà per il prossimo scontro.” ho risposto sorridendo.
“No no, ma ci mancherebbe! – ha proseguito quello – Beh, senta, permetta allora che le offra almeno un caffè.”
E’ stato a quel punto che, per la prima volta, l’ho guardato negli occhi. Il suo sguardo timido e impacciato aveva qualcosa di famigliare, come se quel tipo l’avessi già visto da qualche parte. Non me la sono sentita di rifiutare la sua offerta e così ci siamo diretti, con le nostre borse sempre più uguali, verso il bar del centro commerciale e ci siamo seduti a un tavolino all’esterno.
“Per fortuna mi sono accorto che mi mancava la carne – ha esordito – altrimenti non avrei potuto farmi le lasagne stasera.”
Mi sono ricordato di quel piccolo sacchetto.
“Mi sembra un po’ poca quella carne per le lasagne.”
“Ma io le faccio soltanto per me ed è più che sufficiente. Sa, io non ho amici…” e così dicendo ha abbassato lo sguardo, mostrandomi la sua testa un po’ spelacchiata, proprio come la mia.
“Beh – ho detto – a volte capita di sentirsi soli…”
“No no – ha ribattuto prontamente – non ho detto di sentirmi solo. Io non sono solo. Io sto abbastanza bene con me stesso. Lavoro, leggo ,scrivo, vado in giro in bicicletta, cucino. Io sono soltanto senza amici.”
“Nessun amico? Impossibile.”
“Eppure è così. Giuro. Nessuno con cui parlare, scherzare, litigare, chiedere consiglio o aiuto.”
Mentre pronunciava queste parole osservavo i suoi occhi tristi, che riflettevano una strana luce: per un attimo ho avuto l’impressione che fossero i miei.
“Ma nemmeno da giovane ha mai avuto amici?”
“Alcuni sì, soprattutto ai tempi della scuola, poi le mie amicizie non le ho coltivate e si sono disperse. Nella vita ho avuto genitori, parenti, colleghi di lavoro, conoscenti, compagni di partito, fidanzate, una moglie, dei figli…”
“Lei è sposato?” ho chiesto sorseggiando il mio caffè.
“Lo sono stato. Poi mia moglie se n’è andata. Chi vuole avere un marito senza amici?”
“E i figli?”
“Ne ho due, ma ormai sono grandi e ci vediamo poco. Chi vuole avere un padre senza amici?”
Ho preso il pacchetto di sigarette e gliene ho offerta una.
“Grazie – ha detto allungando la mano – io fumo pochissimo, ma dopo il caffè ci vuole, no?”
“Anch’io fumo pochissimo.” ho replicato, notando che entrambi avevamo l’abitudine di fare uscire la prima boccata di fumo dal naso.
“Non è per farmi i fatti suoi – ho proseguito – ma si dice che vi siano diversi modi per farsi degli amici. Frequentare locali, cinema, palestre. Poi adesso che c’è pure internet…”
“Non è così facile, mi creda. Soprattutto a cinquant’anni.”
La mia età, ho pensato, cercando di convincermi che ne dimostrasse di più, anche se non era vero.
“C’è qualcosa che ci si sente dentro e che non riesce a venire fuori. – ha continuato – Qualcosa che rimane attaccata alla propria pelle, che non trova parole per farsi ascoltare, non trova sguardi per farsi osservare, non trova gesti per farsi avvicinare.”
Non sapevo che dire. Ero in serie difficoltà nel portare avanti quella strana discussione, ma per fortuna lui, l’uomo senza amici, mi è venuto in aiuto.
“Ora devo andare, altrimenti si fa tardi e non faccio in tempo a farmi le lasagne.”
Si è alzato e mi ha teso la mano. Mi aspettavo una stretta debole e molliccia e invece ho sentito una presa forte e decisa, come fosse un desiderio di riscatto – o forse un addio. Ha preso la sua borsa della spesa e si è allontanato. L’ho osservato scomparire nel parcheggio, eclissarsi tra le altre persone, confondersi con le striminzite piante del piazzale, eclissarsi nell’ombra del crepuscolo.
Solo allora mi sono accorto che non aveva pagato il conto.
Epperò! – ho pensato – Ci credo che non ha amici quello! Se invita la gente al bar e poi se ne va senza pagare…
Mi sono diretto al banco, la barista ha schiacciato un tasto della cassa, facendola tintinnare e mi ha consegnato lo scontrino con un sorriso: “Un caffè, un euro.”
Stavo obiettando che i caffè erano due, poi ho guardato il tavolino dov’ero seduto, con la tazzina vuota e il portacenere con un mozzicone e le ho dato l’euro chiesto, ricambiando il sorriso.
Ho preso la mia borsa della spesa, ho controllato di non avere dimenticato di comprare qualcosa – soprattutto la carne macinata – e mi sono diretto al parcheggio, confondendomi tra le altre persone, nella penombra dell’imbrunire.
Devo sbrigarmi – ho pensato – altrimenti non faccio in tempo a farmi le lasagne.
Ma come si fa?
In momenti come questo, mi viene da dire che mi vergogno di essere un uomo.
Poi penso che non sarebbe giusto.
Anni di letture, discussioni, riflessioni se ne vanno di fronte a una semplice domanda: ma come si fa?
Ricordo di avere letto tempo fa da qualche parte che quando uscì “Il signore degli anelli” di Tolkien qualcuno lo criticò per avere descritto un male totale, assoluto, che non esiste, perché anche nel male esiste sempre un briciolo, anche infinitesimale, di bene.
In alcuni momenti credo proprio di no.
L’esperimento
Ho deciso di sottopormi a un esperimento.
Non è che faccio da cavia, ma visto che la cosa riguarda me, non vedo chi altro potrebbe sottoporvicisi (cisi? boh…).
A dire la verità, io credo di sapere già come andrà a finire e quindi temo di condizionarne, anche involontariamente, l’esito.
Cerco quindi di comportarmi nella maniera più normale possibile.
Spero che le cose vadano nella direzione opposta a quanto prevedo, ma tutto sommato mi ritengo sufficientemente realista.
Del resto a cinquant’anni non si può essere altro.
I sogni sono una bella cosa e sono indispensabili per tirare avanti, ma valgono soltanto quelli che si basano su se stessi e sulle proprie forze.
Sotto sotto spero di essere smentito.
Consigli utili
“Allora A., io adesso devo andare, ma tu ricordati bene quello che ti ho detto. Vedi di non dare confidenza agli sconosciuti e cerca di stare sempre insieme alle tue amiche. Ricordati che, di tutto quello che sentirai e vedrai, la metà è falso e l’altra metà è un’esagerazione, frutto di allucinazioni collettive. In caso di bisogno hai il mio numero. In caso di urgenza, c’è il 112, che sono i carabinieri, oppure il 113, che è la polizia. Se proprio non potessi telefonare, schiaccia il pulsante dell’antincendio.”
Ma papà, devo soltanto andare al catechismo!”
“Appunto.”