Uscire dalla solitudine
Per una persona che si sente sola, la prima difficoltà nel leggere libri sulla solitudine è quella di andarli a comprare.
Sì, perché bisogna uscire di casa, abbandonare il proprio guscio protettivo e addentrarsi in una libreria, con il rischio di incontrare altri esseri umani, forse anche qualcuno che conosci e che ti assale: “Ciao! Quanto tempo! Ma cosa hai comprato? La solitudine? Ma non dirmi che ti senti solo, vecchio marpione! Perché non vieni a casa mia sabato sera che c’è una cena tra vecchi amici? Sai che viene anche Alice? Sì sì, proprio lei – e accompagna la descrizione con un inequivocabile movimento rotatorio delle braccia e delle mani – quella con due airbag… Ora si è lasciata con il fidanzato, sai?”. E tu pensi che ti ricordi eccome di Alice, ma a differenza degli altri, non hai mai spettegolato sui suoi airbag e infatti non t’ha mai cagato e se adesso s’è molata con il fidanzato, che vada a cagare.
Potresti comprare i libri su internet! Direbbe qualche furbone, ignorando che per le persone sole è quasi impossibile acquistare su internet, perché le consegne avvengono tramite corriere e se non c’è nessuno a casa, succedono malintesi inenarrabili.
Comunque sia, se si riesce a superare questo scoglio, può darsi che ci si ritrovi per le mani questo libro.
Olga Chiaia è una psicoterapeuta (nessuno è perfetto) che attualmente vive e lavora nella capitale della mia provincia, Piacenza (mi dispiace per lei).
Sono incappato nel suo libro mentre, al culmine di una giornata all’insegna dell’ottimismo, cercavo un’edizione economica dei Sepolcri di Ugo Foscolo, ho letto la quarta di copertina e l’ho comprato, insieme all’altro e a un altro ancora.
Esistono, in sintesi, due tipi di solitudine. Quella che può essere un momento per cambiare e crescere, occasione di raccoglimento e riflessione, alternata a momenti di comunicazione e di espansione. Una solitudine scelta e accettata, creativa, consapevole.
Poi c’è un’altra solitudine, che ti tiene fuori dagli scambi vitali, sofferta, vuota, senza affetti. Un buco nero, insomma, una trappola.
“Il malessere della solitudine è un sintomo, un segnale biologico che ci sprona a rinnovare la connessione sociale per non ammalarci a qualche livello. Occorre liberarsi dalle paure e dalle distorsioni interpretative, per rendersi più disponibili agli altri, anche pochi.”
Ma ci sono due ordini di problemi. Uno sociale: paura, diffidenza, assenza di luoghi d’incontro, mancanza del senso di comunità non favoriscono certamente incontri e rapporti distesi tra le persone.
E poi c’è un problema personale, anzi spesso ci sono caterve di problemi personali che impediscono che i rapporti di amicizia fluiscano spontanei.
Questo libro non è un manualetto per farsi gli amici. E’ un libro che, secondo me soprattutto nella seconda parte, offre diversi spunti di riflessione su sé stessi, sul proprio modo di porsi agli altri.
E’ un libro che ci parla della necessità di essere gentili, di amare il prossimo ma anche sé stessi, di ascoltare, essere pazienti, condividere, con la consapevolezza che “Certe volte una soluzione immediata non c’è. Resti solo. E’ importante non sentirsi in colpa, non deprimersi, non arrabbiarsi con nessuno, e non spaventarsi”.
Non spaventarsi. Mi piace questo consiglio. Perché é brutto spaventarsi, forse non ci pensiamo abbastanza. Si spaventano soprattutto i bambini e gli anziani, quelli che dovremmo, in quei momenti, prendere per mano e rassicurare, calmare, rimettere in pista guardando le cose dal giusto punto di vista.
Ma se si spaventa chi è solo, rischia di annaspare inutilmente, senza trovare alcun gesto o parola rassicurante.
“Dietro le nuvole, l’amicizia e l’amore” recita il sottotitolo del libro. Un piccolo passo in avanti nella difficile e dolorosa ricerca di me stesso, sperando di non perdermi.
ecco… mi sono spaventata… e ora dopo aver preso per mano mie figlie e i miei genitori… e mezzo altro mondo… dopo aver cercato di tranquillizzare e rassicurare tutti… comunque vada io la notte mi ritrovo SOLA.
le nuvole. è un pensiero ricorrente in questi giorni.
ti linko qualcosa. forse lo conosci già.
Sperando di non perdersi, ma perdersi è un incidente di percorso. Ci si perde, ma a volte ci si ritrova e, straordinariamente, esattamente dove saremmo sempre voluti essere.
Persino con chi saremmo voluti essere. Mi dicono che capiti.
Mi piace questo post. E ti dico che, avendo sperimentato ogni tipo di solitudine (di quelle da te elencate), più la solitudine-isolamento (quella che non ti sei scelto), sono senza dubbio per l’apertura verso l’esterno, a tutti i costi.
Un saluto affettuoso.
Solitudine … fortunatamente non la conosco … per me essere “sola” è raro proprio in senso fisico, a volte rimpiango di non avere un momento da trascorrere sola con i miei pensieri e le mie riflessioni … ma la mia vita super piena non me lo permette … e a me piace anche così…
la solitudine l’ho conosciuta in tutte le sue vesti e sfaccettature,
quella dell’incapacità di dialogare, che genera solitudine, quella del momento di raccoglimento e di ascolto, che comunque mi piace perchè mi permette di stare con me, e quella tremenda, che ferisce, che scava dentro, quella solitudine che è vuoto assenza..
mi piace molto questo passaggio “Dietro le nuvole, l’amicizia ,l’amore..trasmette fiducia e positività..
un saluto
Bisognerebbe sempre chiedersi: ma io SONO solo oppure MI SENTO SOLO?
Perché, si capisce, sono due cose completamente diverse.
E poi bisognerebbe chiedersi: ma io COSA STO CERCANDO VERAMENTE?
E poi: se lo trovo, ME LO POSSO PERMETTERE?
Insomma, come direbbe un manager, bisogna fare una “ceclist”…
accidenti se hai ragione, piccola Aquila…
non sono d’accordo o non capisco il terzo quesito.
che vuol dire?
se io sapessi cosa diavolo voglio… se mai lo sapessi… potrei permettermi TUTTO
Posso dire qualcosa?
Anche se non posso, la dico lo stesso.
Leggere libri del genere e a cercare di trovare una spiegazione per forza alla solitudine, serve solo a deprimersi di più. Identificarsi nelle cose o nelle situazioni scritte a che serve? Ad ammettere di non saper concludere niente nella vita? A non riuscire a tenersi stretti degli affetti? Ad andare a rimugunare sulle situazioni passate, sugli errori commessi (sempre che se ne siano commessi sul serio!)? mah!
ops!
Prima che mi faccia una lezione di grammatica (come sempre):
-la prima a, preposizione semplice (visto? so pure cos’è) è da abolire, non c’entra niente e non ho idea del perchè l’abbia scritta
– rimugunare non esiste nel vocabolario, ho solo sbagliato a digitare, volevo dire rimuginare 😉
Ma perchè sbaglio a scrivere sempre qui???? 😯
La consapevolezza è la prima conquista, e riuscire a uscire dal guscio per andare a comprare un libro simile lo trovo un atto di coraggio.
a77: sai che per certi versi io la penso proprio come te?
Nonono…
Ha ragione frivola: il primo atto di coraggio è uscire a comprare il libro.
Cioè, io non sono uscito apposta, l’ho trovato in libreria, ma fa lo stesso.
Consapevolezza, ci vuole.
LO dice sempre anche il coach di La7…
leggere non significa consapevolezza.
puoi prendere atto del tuo stato a prescindere.
non voglio dire che non si debba leggere.
ma forse… è troppo “semplice”
so già che non riuscirò a spiegarmi e quindi…
vado a letto.
Ecco, appunto.
Hai bisogno di un coach…
mi assumi?
ho giusto un part-time da proporre… sono libera dalle 13… vabbè mettici mezzora di pausa (per te non per me che non ne ho bisogno e sono piena di energia)… dalle 13.30 e per 4 ore posso farti da coach… fammi una proposta economica… non essere tirchio… allunga il braccino….
sì può essere consapevole dei propri limiti, dei propri problemi e di tutto quello che volete. Ma uscire improvvisamente dal proprio guscio non si può. Non è dopo aver letto un libro che scoprirai che gli occhi puntati addosso, chissà per quale miracolo, non ti danno più fastidio o non ti mettono a disagio. E non sarà neppure dopo la lettura di un libro che riuscirai ad agire diversamente, a stare in mezzo alla gente, a chiacchierare del più e del meno come se niente fosse,…
Certi libri sono un’arma a doppio taglio: provano a darti una mano, e nello stesso tempo ti deprimono, come ha scritto Maria.
Ne ho letti tanti: alla seconda pagina cominciavo ad essere assalita da mille dubbi, sensi di colpa, ruminamenti mentali che avevano il potere di farmi sentire ancora più sola e disgraziata.
Da un po’ di tempo sono entrata nella fase della solitudine consapevole, la prima che hai descritto.
Non voglio nè mi aspetto niente. Ho rapporti normali con le persone, quando e se capita, ma non faccio niente per procacciarmi occasioni e/o appuntamenti.
Può anche essere che questo stato duri fino alla fine: ho messo in conto anche questa eventualità.
PS.
Avrei alcune alternative ai Sepolcri: i canti di Ossian, i dolori del giovane Werther. Magari qualcosina di Proust. :)))