Domani è febbraio (e la cosa si fa preoccupante)
Ho terminato un racconto per un concorso letterario e l’ho spedito.
Considerato che non è la prima volta che decido di partecipare a concorsi letterari e poi “sfondo” i termini, stavolta ho versato la quota di partecipazione in anticipo, così la tirchieria mi ha spronato a terminare il lavoro in tempo.
Ma in questi giorni mi sono trovato a pensare che sta arrivando febbraio.
Che vuol dire questo? Vuol dire che a febbraio compaiono improvvise giornate soleggiate, anticipi della primavera, per lasciare poi spazio alle giornate piovose (e pallose) di marzo e aprile. E in queste dolci giornate di febbraio io vengo acchiappato dalla nostalgia: sono giornate nelle quali vorrei essere lontano lontano.
Insomma, mi stavo preparando a febbraio, mentre le previsioni meteo pronosticano neve in padania per domani e quindi pensavo di avere ancora un po’ di tregua, quando ho letto questo post.
Dove vanno i pensieri tristi di chi guarda il cielo, e perde lo sguardo nel lucore delle stelle lontane?
(Una che usa il termine “lucore” meriterebbe un premio soltanto per questo)
Dove vanno i ricordi struggenti di un amore lontano, un amore che si è perso fra le brutte pieghe dei giorni che mangiano giorni?
Già, dove vanno i pensieri tristi e i ricordi? Ci sarà un deposito da qualche parte? Un parcheggio? Oppure sono sempre in movimento?
Poi mi è venuta un’idea.
Forse possiamo scoprirlo dove vanno, o dove sono.
Già, perché quando abbiamo un pensiero, evochiamo un ricordo, osserviamo una foto o risentiamo una voce, forse non ci rendiamo conto che questi sono soltanto i link ai nostri ricordi o ai nostri pensieri tristi. Loro stanno da un’altra parte.
Forse basterebbe schiacciare un po’ meno il maus della nostalgia quando compare la manina con il ditino (che dovrebbe essere l’indice, perché se si tratta del medio allora c’è di che preoccuparsi…) e cliccare da un’altra parte…
Ma questi sono soltanto pensieri disarcionati di uno che sta aspettando febbraio…
Buon febbraio a tutte/i.
Buona giornata!
Ora mi viene così…
Abitudine
Ne sono convinto. Ne sono sempre stato convinto.
L’essere umano di abitua a tutto, prima o poi. Bene o male.
E’ nella natura dell’essere umano.
Chi non si abitua muore.
Non necessariamente fuori.
Il partito “a prescindere”
Cercavo in questi giorni una definizione per il partito democratico e oggi mi è venuta questa: il partito democratico è il partito “a prescindere“.
Cioè, il PD candida le persone ai diversi livelli di incarichi a prescindere dal loro grado di pirlaggine.
Mi è venuta leggiucchiando le vicende che hanno coinvolto il sindaco di Bologna, che oggi ha annunciato le sue dimissioni.
Ora, a me qui non interessa se abbia commesso o no qualche reato: su questo indagherà la magistratura, che, come tutti sappiamo, non è che sia molto meglio della classe politica e che non è immune da errori, anche gravi (do you remember Enzo Tortora?).
I politici non si devono sostituire ai magistrati e se hanno bisogno di loro per fare pulizia, vuol dire che sono semplicemente degli incapaci.
Io voglio semplicemente dire che mi aspetto che i politici del centro-sinistra siano al di sopra di qualsiasi sospetto e che se hanno la coscienza pulita devono rimanere al loro posto. Se uno ha la coscienza a posto se ne deve fregare delle voci, delle inchieste, dei sospetti. Qui invece dilaga la pirlaggine e il PD mette assessore alla sanità in Puglia un imprenditore nel campo della sanità, poi mette presidente del Lazio un puttaniere che si vantava di essere cattolico e alla fine mette a sindaco di una delle sue città simbolo un coglione che se ne va in missione con la fidanzata al seguito.
Non ho parole…
Una generosa offerta
Circa vent’anni fa io (trentenne) fui testimone di una riconciliazione tra mia madre (settantenne) e una sua sorella, cioè mia zia (ottantenne).
Le due sorelle da anni si ignoravano pacificamente, complice una futile litigata sul niente, come spesso accade tra persone troppo orgogliose di sè.
Un pomeriggio (credo di sabato) ci recammo pertanto da questa mia zia, che abitava in un paese vicino e se ne andarono un paio d’ore tra chiacchiere, caffè, vino bianco, pasticcini e biscotti.
Mia zia era vedova da anni e abitava in una grande casa, rimasta praticamente intatta dalla morte di mio zio.
Prima di andarcene, la zia volle farci vedere tutta la casa, comprese le due camere da letto, entrambe perfettamente arredate; la prima, che aveva condiviso per anni con il marito e la seconda, nella quale non dormiva più nessuno, essendo i figli ormai sposati da anni.
A quel punto si svolse la seguente conversazione tra lei e me, presente mia madre, ovviamente in stretto dialetto piacentino, che traduco perché, ahimè! non tutti hanno la fortuna di essere padani come il sottoscritto.
Zia: “Ho saputo che hai la fidanzata. Bene, bene…”
Aquila: “Beh, insomma, fidanzata…”
Zia: “E dimmi un po’, quando volete stare da soli, dove la porti?”
Aquila (un po’ imbarazzato): “Beh, dipende…”
Zia: “Potete venire qui. Non farti problemi. Guarda che bella stanza e che bel letto. Puoi venire quando vuoi, nessuno vi disturba.”
Aquila: “Ehm… grazie zia. Ecco, io… cioè… effettivamente è una bella stanza…”
Zia: “Io lo so cosa vuol dire poter avere un posto dove portare la fidanzata. Altrimenti come si fa? Vero?” rivolgendosi a mia madre, che rimase rigorosamente in silenzio.
Aquila: “Ok zia, va bene. Ne terrò conto.”
Ricordo con piacere quel pomeriggio, dopo il quale la zia tornò a frequentare la nostra casa e noi la sua. Rimpiango anche di non avere di fatto accettato quella gentile proposta di una simpatica ottantenne.
L’avessi fatto…
Tengo cuore italiano…
Embé?
Io ho aperto la passata di pomodoro e ho fatto il sugo, ma perché non arriva nessuna con il filoncino da scappellare (ops! nel senso ovviamente mangereccio) e intingercevelo?
O ho sbagliato passata, oppure…
Io, loro, l’alloro e il piloro
Ci sono tanti film interessanti in questo week-end: IL RICCIO (del quale ho letto il libro al quale si ispira e mi è piaciuto tantissimo), LA PRIMA COSA BELLA (mi intriga la storia), AVATAR (mettere gli occhialini per il 3D… uau! una figata!).
Io ho scelto l’ultimo film di Verdone e non me ne pento.
Anzitutto c’è da dire che Verdone si presenta, come dire, ben invecchiato: dimagrito, fisico asciutto, capelli a spazzola, qualche rughetta.
Il film è gradevole e secondo me azzeccata la scelta degli attori.
Notevole la sfilza di paranoie nelle quali si imbatte il povero Don Carlo (Verdone): l’anziano padre sposato con una procacissima moldava; la sorella separata e schizofrenica con una figlia che vive in simbiosi con un’amica, entrambe fuori di testa; il fratello agente d’affari cocainomane.
Lui che era tornato dall’Africa, missionario in crisi spirituale, proprio non si raccapezza in aquella bolgia e oltretutto nessuno lo sta ad ascoltare.
A complicare le cose, arriva Lara (Laura Chiatti, che fa la sua bella figura…), figlia della moglie moldava del padre, piena di problemi e soprattutto con un “grande problema” (il figlio che tenta di riavere indietro).
Non è soltanto un film comico (qualcuno dice che non lo è affatto), ma vi sono gustose scenette che fanno ridere, complice anche il dialetto romano che è sempre gradevole.
Verdone recupera anche una certa “lentezza” nei tempi (115 minuti) che mi ricorda molto “Sette chili in sette giorni”, film degli anni ottanta interpretato con Renato Pozzetto (è stato il primo film che ho registrato con il mio primo videoregistratore).
Sono contento di averlo visto, insomma, anche se durante il film mi è arrivato un sms che mi ha un po’ destabilizzato. Comunque ero deciso a non pensare a niente e ci sono riuscito.
La prossima volta mi metto gli occhialini per il 3D…
Rispondi!
Volevo fare un discorso importante e complesso stasera. Talmente importante e complesso che ho bisogno di calibrare bene le parole e quindi non lo faccio.
Però ne faccio un altro.
Altrettanto importante (per me).
Oggi mi hanno detto, anzi scritto, per la precisione, che sono un po’ “stranetto”, così come lo è il modo in cui gestisco questo blog: poco disponibile a scambi di idee, espongo, esterno e basta, monoparte.
La cosa che però mi ha fatto più pensare è quando mi hanno scritto che do’ l’impressione di una persona che lascia poco spazio agli altri, anche nella vita.
Se devo dire la verità non ci avevo mai pensato.
Effettivamente è vero che io rispondo raramente ai commenti degli altri, non perché non mi interessino o li snobbi, però. E nemmeno perché non mi piaccia la discussione.
Non lo so.
Forse è proprio questo il problema: non lo so perché mi viene naturale così e gli altri leggono ovviamente questo mio atteggiamento come disinteresse, supponenza, arroganza.
Il fatto è che io non sono così e non voglio essere così.
Io non sono musone, triste, ingrugnito, noioso, incazzoso.
Io sono allegro, spiritoso, giocherellone, burlone, ma questi aspetti del mio carattere non vengono fuori, se non con gli amici più intimi.
Un bel problema…
Un grande problema…
Bisogna cambiare.
P.S.: oggi Fini ha presentato il suo ultimo libro a una libreria Coop di Bologna. Alla fine avrà fatto pure la spesa con la tessera socio?
Piccole/grandi riflessioni di economia (e un elogio a Gaetanina)
E’ da un po’ di tempo che mi frulla per la testa un certo ragionamento e stasera, dopo avere sentito una notizia al TG, mi sono deciso a esternarlo.
Qual’è la notizia che ha mi ha fatto scappare la voglia di esternare? E’ quella di Gaetanina Di Paolo, operaia della Desmon di Avellino che, reintegrata in azienda dopo una vertenza, ha ricevuto un ordine di trasferimento nientepopodimeno che in India.
Ovviamente, visto che questo atteggiamento dell’azienda rischiava di sputtanare tutti gli industriali e manager italiani, si sono mosse un po’ di autorità e il trasferimento è stato ritirato.
Però la Gaetanina, madre di cinque figli (soltanto per questo meriterebbe un premio, altroché il trasferimento) e moglie di un poliziotto, diventa un simbolo di quella resistenza civile alla protervia di alcune emerite teste di cazzo. Vi immaginate questi manager-minorati mentali (con stipendi forse di qualche decina di migliaia di euro al mese) che, di fronte alla sentenza di un giudice si mettono a piagnucolare e decidono di trasferire dal 1° febbraio una madre di cinque figli in India?
Comunque, la riflessione economica è questa, che mi viene tutte le volte che passo davanti a un grande zuccherificio vicino al mio paese, ormai chiuso da anni e nel quale io ho lavorato per diversi anni come stagionale. La esporrò in termini semplici semplici, perché comprendo che non tutti possono aver fatto un master ventennale in micro-macro-midi-mini (slip) economia come il sottoscritto…
In Italia esiste il mercato dello zucchero, che è un mercato oligopolistico. Un mercato si definisce oligopolistico, in sintesi, quando vediamo sui banchi del supermercato venti marchi diversi per un prodotto, che però sono raggruppati in due o comunque pochissimi grandi produttori. Sembra che ci sia una grande concorrenza, ma in realtà non c’è, perché i produttori, mantenendo in vita una grande quantità di marchi, alzano di fatto una barriera all’ingresso di nuovi produttori (anche grazie alla pubblicità), catturano l’attenzione del cliente con la varietà dei prodotti e intercettano anche coloro che acquistano più o meno casualmente. Tipico mercato oligopolistico è quello dei detersivi.
Supponiamo che il mercato dello zucchero sia suddiviso tra due grandi produttori, che impiegano circa diecimila persone, tra lavoratori fissi e stagionali, che il mercato sia stabile e che non vi sia concorrenza estera.
A un certo punto, uno dei due produttori dice: io voglio concentrare la produzione in due dei miei quattro stabilimenti. Aumenterò la produttività negli stabilimenti che rimarranno aperti e gli altri verranno chiusi. Questo comporterà il licenziamento o la mancata assunzione di un migliaio di lavoratori, tra stabili e stagionali.
Oggi cosa fa lo Stato? Sostanzialmente prende atto di questa decisione e cerca di “mitigarne” le conseguenze con la cassa integrazione, con la ricollocazione dei lavoratori oppure, più semplicemente, alza bandiera bianca e lascia per strada un bel po’ di lavoratori.
Cosa dovrebbe fare secondo me?
Dovrebbe chiedere agli industriali: questa riorganizzaziona aziendale comporterà una diminuzione del prezzo dello zucchero per i consumatori? Se è così, le minori spese potranno tornare in circolo (sotto forma di consumi o di risparmi) e allora ti do’ il via libera. Se così non è, allora questa riorganizzazione a cosa serve? Serve soltanto per aumentare i profitti dell’azienda? A che scopo? Se è per fare nuovi investimenti, allora si può fare, altrimenti non si fa.
Non si fa perché aumenta la diseguaglianza complessiva del sistema, in quanto da un lato crea disoccupati e dall’altro lato aumenta i profitti per pochi.
Non si fa perché io Stato devo preoccuparmi che i miei cittadini abbiano un lavoro che consenta loro di portare a casa il pane per i loro figli.
Punto.
Lo so che oggi le regole non consentono questo intervento, ma le regole servono per gli uomini e non viceversa e quando non vanno bene, si cambiano.
Punto.
Domanda (che cerca risposta)
Ammettiamo che vi sia un gruppo di quattro persone (non so se si è capito, ma il quattro è uno dei miei numeri preferiti, insieme a 260.860).
Identifichiamo queste quattro persone con i numeri 1, 2, 3 e 4.
Voi siete il numero 1 e a voi spettano le decisioni per tutto il gruppo. Gli altri componenti non vi spossono essere d’aiuto in questo.
A un certo punto si presenta un problema che riguarda un componente del gruppo, diciamo il 3, e per risolverlo si prospettano due soluzioni, che chiameremo A e B (le soluzioni a un problema devono essere sempre almeno due, altrimenti non c’è niente da discutere).
La soluzione A lascia inalterata la vostra vita, ma peggiora quella di 2 e 4 (più o meno sensibilmente, dipende).
La soluzione B lascia inalterata la vita di 2 e 4, ma peggiora la vostra (più o meno sensibilmente, dipende).
Qualcuno potrebbe chiedersi: vabbeh, ma in tutto ‘sto casino, cos’è meglio per 3?
Ecco, questo ve lo chiedete anche voi e cercate di capirlo con tutte le vostre forze e arrivate alla conclusione che per 3 la soluzione A oppure la B sono più o meno la stessa cosa.
Domanda: cosa fate?
Tempo utile per la risposta: quattro giorni.